700 gli esuberi tra il personale

Come mai MediaWorld è in crisi e che succederà (anche a Bergamo)

Come mai MediaWorld è in crisi e che succederà (anche a Bergamo)
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«Pensavamo di essere in una botte di ferro», sono queste le tristi parole con il quale un dipendente del MediaWorld di Napoli ha commentato la notizia del licenziamento suo e di altri 80 colleghi, a partire dal 31 luglio prossimo. Entro l’estate infatti la direzione dell’industria elettronica ha annunciato che chiuderanno sette punti vendita in tutta Italia, che porteranno ad un esubero di ben 700 dipendenti su un totale di 6.458 sia full che part-time. Il dato, alla luce dei molti lavoratori part-time, è ancora più ampio e potrebbe riguardare circa un migliaio di persone: i primi 200 tagli saranno per dipendenti full-time, poi, da un’ulteriore razionalizzazione, emergeranno i successivi 500 posti da licenziare. I motivi del cambiamento sono stati spiegati da un comunicato pubblicato da Mediamarket spa, l’azienda italiana, appartenente al gruppo tedesco METRO, che è proprietaria del marchio MediaWorld; nel documento emerge che «con poche eccezioni tutte le aree merceologiche del mercato hanno avuto un trend negativo, dal settore audio/video all’home entertainment e all’information technology».

 

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Origini e numeri della crisi. A monte di questo difficile cambiamento sta la crisi generale delle catene di vendita elettronica, incapaci di fronteggiare lo sviluppo costante e sorprendente dell’e-commerce (trainato da Amazon). Concorrenti come Trony e Unieuro hanno dovuto anch’essi ricorrere a dei tagli di organico sostanziosi, mentre negli Stati Uniti un colosso del settore come RadioShack ha annunciato di essere sull’orlo della bancarotta. Sempre nel comunicato stampa pubblicato a spiegazione dell’accaduto, si evince che «la crescita del canale e-commerce ha influenzato in modo negativo i margini sull’offerta continuativa e ha determinato un abbassamento dei prezzi allo scaffale per cercare di ridurre il disavanzo di prezzo da parte dei retailer tradizionali. Lo spostamento del mix di vendita ha contribuito in misura non secondaria a questo trend, in quanto le categorie di prodotto in crescita (tablet e smartphone) sono anche quelle in cui i margini sono decisamente inferiori alla media settoriale».

Il crollo per Mediamarket si è avuto nel 2014, dopo che gli ultimi punti vendita a marchio Saturn erano stati re-brandizzati in MediaWorld (solo in Italia i negozi sono 117, mentre nel mondo se ne contano circa 900). Dopo un 2013 positivo, nell’anno seguente le vendite sono crollate di 13 milioni di euro, il valore della produzione ha subito una diminuzione di 51 milioni di euro (2,2 percento in meno del 2013) e il valore netto della produzione, senza tasse e imposte finanziarie, è passato da 34 milioni di euro a –8 milioni di euro. Inoltre, nell’unico settore forte dal punto di vista delle vendita, quello degli smartphone di ultima generazione, si registra la battaglia serrata tra produttori e distributori, che porta ad un risicato guadagno per questi ultimi.

 

 

Il futuro, anche per Bergamo. La sede italiana di MediaWorld di Curno, primo punto vendita del marchio dal 1991, ha previsto per il 7 maggio un incontro con tutte le organizzazioni sindacali, per motivare i cambiamenti futuri e verificare l’impatto sociale di tali decisioni. Nessuno dei negozi che verranno chiusi è dislocato nell’area bergamasca, i sette punti vendita si trovano infatti a Milano, Roma, Settimo Milanese, Genova, Nola, Napoli e Brescia, e chiuderanno per mancanza di sostenibilità economica o affitti troppo alti.

Dopo la chiusura, è prevista una fase di ricollocamento di alcune risorse in tre nuovi punti vendita, nell’arco dei prossimi 18 mesi, caratterizzati da meno prodotti e maggiore multimedialità. Le sedi previste sono Milano, Roma e una nell’area tra Brescia e Verona. La funzionaria del FISASCAT (Federazione Italiana Sindacati Addetti Servizi Commerciali, Affini e del Turismo) Elena Maria Vanelli ha evidenziato come l’azienda stia cercando di aiutare i lavoratori licenziati tramite la cassa integrazione, per i dipendenti full-time, e i contratti di solidarietà per gli altri.

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