DAL DISCORSO DEL PRESIDENTE DELLA CASSAZIONE

Ai mali della giustizia italiana si è aggiunto lo scontro tra Pm

Ai mali della giustizia italiana si è aggiunto lo scontro tra Pm
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Ieri, giovedì 22 gennaio, si è ufficialmente aperto il nuovo anno giudiziario, e come consuetudine vuole il Presidente in carica della Corte di Cassazione, Giorgio Santacroce, ha tenuto un discorso introduttivo; molti i temi toccati, su una bilancia in equilibrio fra le delusioni dell’annata appena terminata e le speranza per quella a venire, il tutto legato dal medesimo filo rosso: la necessità di radicali cambiamenti nel mondo della giustizia italiana.

Santacroce ha aperto la sua relazione con un saluto all’ormai ex Presidente Napolitano, definito "sapiente custode delle istituzioni repubblicane": è questo un particolare che, per quanto si possa intendere come dovuto, ha un notevole significato, visti i numerosi attacchi, provenienti da diverse parti politiche, che hanno condito l’addio al Colle di Napolitano, additanti quest’ultimo di mancanza di rispetto nei confronti della Costituzione e delle regole della democrazia (il riferimento è agli ultimi tre Governi, nessuno dei quali eletto dal popolo).

 

 

Successivamente, Santacroce ha delineato un drammatico quadro del settore giudiziario italiano, definito come “al collasso”: occorrerebbero infatti, secondo le parole del Presidente, tre anni e mezzo solo per azzerare il lavoro arretrato della sola Cassazione, rispetto alla quale viene chiesto un repentino intervento legislativo da parte del Parlamento affinché vengano ridefiniti i motivi per cui una sentenza possa finire sul banco della Corte suprema. Un dato questo in controtendenza rispetto alla media del Paese e delle corti minori (primo grado e appello), in cui i processi civili pendenti si sono ridotti del 4,2 nel 2013 e del 6,8 percento nel 2014, attestandosi in quest’ultimo anno al numero complessivo di poco meno di 5 milioni. Le riforme ritenute maggiormente efficaci e che hanno consentito questi risultati, secondo Santacroce, sono state la legge 90 del 2014 sulla semplificazione e trasparenza amministrativa e l'efficienza degli uffici giudiziari e la legge 132 del 2014 sulla negoziazione assistita e gli arbitrati: una bella iniezione di fiducia all’attuale Governo Renzi da parte del Presidente della Cassazione.

Ma comunque non è ancor abbastanza: servono investimenti, in risorse umane e strumentali, non si può pensare di risolvere il problema della giustizia attraverso riforme a costo zero. Un primo, fondamentale passo riguarda l’accorciamento dei tempi medi processuali, che potrebbe essere reso possibile, secondo Santacroce, da uan ristrutturazione dei giudizi in sede di appello, circoscrivendolo al solo controllo degli errori che possono aver inficiato il giudizio di primo grado. Impensabile l’abolizione di questo grado di giudizio, significherebbe la perdita di un fondamentale pilastro di garanzia dei diritti dei cittadini.

 

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Affrontate poi le annose questioni del più che eccessivo numero di avvocati presenti nel nostro Paese e del sovraffollamento delle carceri: per quanto riguarda la prima, sono ben 59 mila gli attuali iscritti all’albo dei patrocinanti in Cassazione, ovvero un’enormità che non trova giustificazioni né in ragioni di mercato né tanto meno di necessità della giustizia italiana; per quanto riguarda invece la seconda, Santacroce ha sottolineato come l’Italia sia ancora sorvegliata speciale, da parte della Corte di Giustizia europea, per quanto riguarda la garanzia dei diritti fondamentali dei carcerati, lanciando però un monito anche agli stessi magistrati: è necessario che si assumano anche essi la responsabilità di rendere effettivo il principio del minimo sacrificio possibile, che deve governare ogni intervento, specie giurisdizionale, in tema di libertà personale.

Chiosa dedicata ad una frecciata al mondo della magistratura inquirente: questa, secondo Santacroce, dopo Mani Pulite ha iniziato una parabola discendente, che ha portato ad una disaffezione dei cittadini a causa delle credenziali mortificanti che esibisce, come i processi lumaca e il degrado delle carceri. A questa crisi di fiducia concorrerebbero anche le frequenti tensioni e polemiche nel mondo della giustizia, e soprattutto tra Pm stessi, oltre alle «forme di protagonismo, cadute di stile e improprie esposizioni mediatiche» in cui i magistrati inquirenti troppo spesso incorrono.

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