I governatori non ci stanno

Che succede all'accordo sul clima ora che Trump fa marcia indietro

Che succede all'accordo sul clima ora che Trump fa marcia indietro
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«Combatto ogni giorno per le persone di questo paese, ed è per soddisfare il mio dovere solenne di proteggere l’America e i suoi cittadini che gli Stati Uniti usciranno dall’Accordo di Parigi sul Clima». È con queste parole che il primo giugno il Presidente Donald Trump ha annunciato la sua decisione di uscire dal Trattato di Parigi.

Cos'è il Trattato di Parigi. Il Trattato è un accordo sottoscritto nel 2016 da tutti gli Stati del mondo tranne la Siria e il Nicaragua, che è riuscito a portare Cina, India e altri Paesi in via di sviluppo verso una maggiore attenzione al cambiamento climatico. Scopo dell’accordo è di ridurre le emissioni di gas serra, limitando il riscaldamento globale sotto i 2°C. Per farlo, tutti i firmatari si impegnano con obiettivi concreti per i successivi cinque anni, secondo quanto indicato nei piani nazionali di azione per il clima. I progressi e il mantenimento degli impegni sono verificati davanti alla comunità internazionale tramite dei report, i “Contributi stabiliti a livello nazionale” (NDC, Nationally Determined Contribution) e delle riunioni a cadenza quinquennale. L’accordo prevede anche un meccanismo di sostegno per i Paesi in via di sviluppo, nella loro gestione di attività legate al cambiamento climatico, e un sistema per far fronte alle perdite economiche causate da condizioni ambientali estreme.

 

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Cosa accade senza gli Usa. Si punta in alto, dunque, ma in realtà gli obblighi non sono vincolanti e mancano organi che esercitino un’autorità internazionale e prendano provvedimenti nel caso di mancato rispetto degli impegni assunti. È chiaro perciò come, senza la leadership statunitense, l’intera struttura del trattato potrebbe crollare. Cosa succederà ora che gli Stati Uniti hanno deciso di fare marcia indietro? C’è chi sostiene che la mossa di Trump provocherà un arretramento a una visione nazionalistica del problema climatico, facendo sorvolare sulla necessità di un coordinamento globale. Alcuni esperti ritengono invece che, dopo l’uscita degli Stati Uniti, il trattato darà più risultati. Se Trump fosse rimasto, infatti, lo avrebbe fatto di malavoglia, influenzando con un atteggiamento negativo anche gli altri Paesi.

L’uscita degli Usa ha peraltro provocato una reazione contraria da parte di Cina, India e dell’Unione Europea, che hanno ribadito la loro volontà di tener fede agli impegni presi a Parigi. La Francia poi, cogliendo l’appello lanciato da Macron, ha fatto di più, creando la piattaforma pubblica Make our planet great again che vuole dare un contributo all’applicazione degli accordi di Parigi.

 

 

Le reazioni in terra statunitense. Non sono mancate le reazioni anche negli Stati Uniti. Subito dopo l’annuncio di Trump i governatori di New York, California e di Washington hanno dichiarato che lavoreranno per tener fede agli accordi di Parigi. Un punto non da poco, considerando che questi stati sono responsabili del 10 per cento delle emissioni Us di gas serra, corrispondono al 20 per cento della popolazione americana e producono il 25 per cento del PIL. Una decisione che ha innescato conseguenze a catena, tanto che 30 sindaci, 80 rettori universitari e 100 aziende americane si sono schierate pubblicamente dalla parte di chi al trattato di Parigi vuol restare fedele.

 

 

La dead line è in realtà nel 2019. La verità, però, è che la mossa di Trump è vera solo a metà. «Inizieremo una nuova negoziazione per rientrare nell’accordo o in un altro», ha detto il presidente annunciando l’uscita dal trattato di Parigi. Il bello è che per fare marcia indietro dagli accordi non basta un discorso. Secondo le regole del trattato, infatti, sarà solo il 4 novembre 2019 che gli Stati Uniti potranno ufficialmente ed efficacemente inviare una nota scritta per uscire dal patto. Ma nulla vieta che, quando nel gennaio 2021 un nuovo presidente si insedierà alla Casa Bianca, lui (o lei) potrà rimescolare le carte e rientrare nell’accordo. Fino ad allora, l’amministrazione Trump ha tutto il tempo per rimuginare sull’accaduto e sulle possibili conseguenze, e tornare sui propri passi.

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