Tutti gli studi che spiegano

Perché la musica ci fa stare bene Quello che accade nel cervello

Perché la musica ci fa stare bene Quello che accade nel cervello
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Tutti noi scegliamo di ascoltare la musica che ci piace di più: classica, popolare, rock. La neurologia si è occupata più volte di capire come i diversi generi musicali “attacchino” il nostro cervello ed è noto che l’ascolto della musica prediletta - a qualunque genere appartenga - attiva in ciascuno atteggiamenti e ricordi gradevoli o lacrimosi - che non sono meno piacevoli dei primi, per alcuni. È famosa l’indicazione di Beethoven all’inizio del primo movimento della Sinfonia n.6, Pastorale: «Piacevoli sentimenti che si destano nell’uomo all’arrivo in campagna: Allegro ma non troppo».

Al momento però la comprensione dei meccanismi per cui il cervello reagisce nei modi che conosciamo è ancora piuttosto imprecisa. La rivista Nature ha cercato di rendere la questione meno nebulosa pubblicando, alla fine del mese di agosto, uno studio che, utilizzando i metodi della network science (la scienza che si occupa delle reti di comunicazione, quelle neurali - o neuronali - comprese), ha provato a fotografare cosa succede nel cervello durante l’ascolto di un brano musicale compiuto e gradito al soggetto dell’esperimento. Ne è emerso che nel corso della piacevole esperienza uno dei più importanti circuiti cerebrali, il default mode network [circuito che si attiva automaticamente all’avvio dell’attenzione] si comporta in modo da potenziare al massimo la sua connettività. Il DMN è quello che mette in contatto i pensieri appena sorti con quelli già residenti nel cervello e la musica lo fa accendere come una festa di lampadine di Natale al premere di un interruttore.

Qualunque sia il tipo di musica - è questo il risultato più interessante dello studio - le reazioni sono le medesime nei diversi soggetti, a patto che chi ascolta abbia il brano che gli viene mandato in cuffia nella sua Hit Parade. Ma c’è di più: la musica del cuore aumenta e velocizza le connessioni tra le aree cerebrali dedicate all’ascolto e l’ippocampo, che è il settore del cervello antico responsabile della memoria e del consolidamento delle emozioni. Il nostro potentissimo server, per dirla nel linguaggio dei computer. Che tutto ciò accada lo studio lo mostra molto bene, con immagini che lasciano poco spazio alla fantasia. Perché accada è invece ancora oscuro, nel senso che non siamo a tutt’oggi in grado di capire come il cervello codifichi i suoi impulsi: non sappiamo come li emette, come li distribuisca al proprio interno, come si fissino in altre aree rispetto a quelle di emissione.

 

 

Che accadano, si è detto, è certo anche per i non neurologi. I due video seguenti ne sono la prova popolare: nel primo una bambina in procinto di piangere reagisce alle primissime note come noi reagiremmo a un evento inatteso e sorprendente; nel secondo un bambino paciosissimo dal sorriso quasi nostalgico si scatena in una danza pirrica non appena il brano gli si rende riconoscibile.

I ricercatori di Nature si diffondono poi sui benefici che la musica apporta a malati di Alzheimer o di altre patologie degenerative, mentre alcuni clinici italiani - tra cui il prof. Emerito Giuliano Avanzini - interpellati da Linkiesta.it si soffermano sui vantaggi che ne riceve l’intero sistema nervoso centrale. Si tratta comunque di rilevazioni che, per quanto sofisticate, rientrano nel campo dell’empiria: si vede che qualcosa accade, non sappiamo spiegare perché. Lo stesso campo in cui si sono spinte altre ricerche che ci hanno messo in grado di notare che canti e suoni, quando ci piacciono, fanno bene non solo agli umani ma anche alle bestie - lo si diceva già di Orfeo, che sapesse incantare le fiere - e (stiamo dicendo sul serio) al vino in botte.

Secondo Thomas Koeberl e Markus Bachmann, gli effetti della musica classica e di Mozart in particolare sul vino sono miracolosi. La Sinfonia n. 41 del genio salisburghese, ad esempio, ha un beneficio eccezionale sul nettare di Bacco durante la fermentazione: il sapore del vino cambia, diventa più buono e raffinato.

È invece apparso su Modern Farmer un articolo dal titolo Milking to Music nel quale si consiglia di far ascoltare alle bovine da latte le musiche indicate nella Playlist in manchette se si vuole migliorarne quantitativamente e qualitativamente la produzione. In entrambi i casi sembra che sia Mozart il più bravo a far miracoli.

In attesa di conoscere in maniera più approfondita la situazione neurologica del mosto di moscato bergamasco, ci limitiamo a consigliare un’ultima lettura: quella in cui vien detto che dedicarsi, anche solo per un breve periodo da piccoli, ad imparare un strumento musicale produce benefici effetti sul cervello anche da grandi. Se lo dice la scienza, c’è da crederci.

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