Il nostro orgoglio

Il Papa Giovanni continua a crescere Per questo servono nuovi spazi

Il Papa Giovanni continua a crescere Per questo servono nuovi spazi
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Dottor Pezzoli, lei è direttore sanitario del Papa Giovanni. Cosa dice, serve un’ottava torre?

«Che servano altri spazi è fuori di dubbio. Spazi che potrebbero tornare utili non solo per l’onco-ematologia. Oggi però per noi l’ottava torre è San Giovanni Bianco, un ospedale che la Regione ci ha affidato e che è stato rivitalizzato con notevole impegno di tutti».

Sono passati poco più di sei anni dall’apertura dell’ospedale Papa Giovanni. Sei anni nei quali tutte le cassandre e i profeti di sventura sono stati messi a tacere. L’ospedale dei bergamaschi non è finito sott’acqua inghiottito in una palude, ma, anzi, ha continuato a crescere. Al punto che quella che sembrava una struttura mastodontica (c’era un sindaco che sosteneva bastassero 700 posti letto, ricordate?) comincia a sembrare addirittura un po’ stretta. Il merito di questa straordinaria crescita è soprattutto dei medici e degli infermieri, e di una direzione, quella di Carlo Nicora, che ci ha creduto in tempi sospetti, quando erano in tanti a remare contro. Simbolo dello sviluppo del Papa Giovanni è il dipartimento onco-ematologico, guidato dal professor Alessandro Rambaldi. Oncologia ed ematologia in sei anni hanno triplicato il loro volume di attività. Un autentico e inatteso boom che, dopo alcuni aggiustamenti per ampliare gli spazi dei due reparti, aveva addirittura fatto immaginare a Nicora la costruzione di una nuova torre, l’ottava, per rispondere a una domanda di cure sempre più alta proveniente da tutta Italia. È l’ottava torre la soluzione? È presto per dirlo, ma in attesa che la politica si renda conto di quel che succede alla Trucca, è sicuro che molte cose andranno ripensate sia all’interno sia all’esterno del Papa Giovanni. Un compito non facile per Maria Beatrice Stasi, succeduta a Nicora, nel frattempo trasferito al San Matteo di Pavia. Abbiamo affrontato il tema del futuro del Papa Giovanni con il direttore sanitario Fabio Pezzoli e con il professor Rambaldi, capo del Dipartimento onco-ematologico.

Professor Rambaldi, allora serve un’ottava torre?

«Io non sono tanto sicuro. Invece è sicuro che tutto possa essere razionalizzato e ridefinito. È un problema interno all’ospedale che deve decidere ogni giorno come meglio disporre le sue risorse e gli spazi. Potranno esserci esigenze di ampliamento, lo vedremo, ma la priorità è sempre quella di aggiustare il tiro».

Qualcosa nel suo dipartimento è già stato fatto…

«Sì, il day hospital, ad esempio, è stato ridisegnato: abbiamo recuperato un piano e spostato la degenza dell’oncologia nella torre 7. Ma io che ho lavorato nel centro più attrattivo del mondo, a Boston, ho visto che anche lì i tempi di adeguamento delle strutture spesso hanno richiesto anni. È il prezzo inevitabile che paga chi è attrattivo: gli spazi non saranno mai veramente sufficienti».

Comunque il problema c’è.

«Il problema c’è, dovuto proprio al fatto che il nostro dipartimento è molto attrattivo. Abbiamo continuato a incrementare i volumi di attività e anche dell’attività più complessa, in particolare dei trapianti. L’anno scorso abbiamo fatto un terzo dei trapianti allogenici, cioè da un donatore, a pazienti che vengono da fuori regione. Questo è un motivo di grande orgoglio e l’ospedale ha sempre espresso questa soddisfazione nei nostri confronti. Che l’onco-ematologia sia ricercata perché ci sono dei bravi medici è sicuro, ma altrettanto importante è che questi medici lavorano in una grande struttura: il nostro è l’ospedale più bello d’Italia».

Sta dicendo che il problema degli spazi ci sarà sempre?

«Speriamo che ci sia sempre, però può darsi che l’attrattività cali, perché siamo in un contesto di competizione. Non è che possiamo immaginare di adeguare gli spazi ogni due anni. Il trasferimento della degenza dell’oncologia nella torre 7 l’abbiamo fatto tre anni fa. C’è un’attenzione costante».

Il day hospital è pieno di pazienti...

«Vedere una sala affollata non vuol dire di per sé che in quel luogo si viva un disagio. Io ci passo tutti i giorni e non vedo...

 

Per leggere l’articolo completo rimandiamo a pagina 5 del BergamoPost cartaceo, in edicola fino a giovedì 28 febbraio. In versione digitale, qui.

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