In occasione del Capodanno cinese

«Non abbiate paura della Cina» La storica intervista del Papa

«Non abbiate paura della Cina» La storica intervista del Papa
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Papa Francesco ha rilasciato la sua prima intervista in assoluto sulla Cina e sul popolo cinese il 28 gennaio a Francesco Sisci, giornalista dell’Asia Times e ricercatore della China Renmin University. Dal Vaticano il Papa ha incoraggiato il mondo a non temere la rapida ascesa della Cina in un’intervista storica durata un’ora. Ecco la traduzione dell'articolo apparso sul sito del giornale orientale.

 

Lo ha capito subito, o almeno così ho percepito, e ha cercato di mettermi a mio agio. Aveva ragione. Ero agitato, in effetti. Ho trascorso lunghe ore appuntandomi ogni dettaglio delle domande che gli avrei rivolto e lui ha voluto del tempo che pensarci e meditarci sopra. Ho chiesto un’intervista su aspetti culturali e filosofici che riguardano tutti i cinesi, di cui il 99 percento non è cattolico. Non volevo affrontare questioni religiose o politiche, su cui si sono espressi altri papi, in altre circostanze. Speravo che papa Francesco potesse trasmettere ai cinesi la sua enorme empatia umana, parlando per la prima volta in assoluto su aspetti che li preoccupano quotidianamente: la rottura della famiglia tradizionale, la loro difficoltà nell’essere compresi e nel comprendere il mondo occidentale, il loro senso di colpa per esperienze passate come la Rivoluzione Culturale e così via. Ci è riuscito e ha dato ragioni di speranza, di pace e di conciliazione reciproca, ai cinesi e alle persone interessate alla rapida ascesa cinese. Il Papa è convinto che i cinesi siano in un momento positivo. Ha affermato che non dovrebbero essere spaventati da questo, né che dovrebbe esserlo il resto del mondo. Crede anche che i cinesi abbiano una grande eredità di saggezza che arricchirà loro e gli altri, e che aiuterà tutti a trovare un percorso pacifico per il futuro. Questa intervista è, sotto alcuni punti di vista, il modo con cui il papa benedice la Cina.

 

pechino

 

Cos’è la Cina per lei? Come si immaginava che fosse la Cina, quando era un giovane uomo, considerando il fatto che la Cina, per l’Argentina, non è l’Est ma il Far West? Che cosa significa Matteo Ricci per lei?

«Per me la Cina è sempre stata un punto di riferimento per la sua grandezza. Un grande Paese. Ma più che un Paese, una grande cultura, con una saggezza inesauribile. Da ragazzo, quando leggevo qualcosa sulla Cina, aveva il potere di ispirare la mia ammirazione. Ammiro la Cina. Più tardi mi sono interessato alla vita di Matteo Ricci e mi sono reso conto di come questo uomo sentisse nello stesso modo in cui sentivo io ammirazione, e mi sono accorto di come era in grado di dialogare con questa grande cultura, con questa sapienza antica. Era capace di “incontrarla”. Quando ero giovane, e si parlava della Cina, pensavamo alla Grande Muraglia. Il resto non era conosciuto nel mio Paese.

Ma entrando di più nella questione, ho avuto un’esperienza di incontro che è stata molto differente, per periodo e per modalità, a quella avuta da Ricci. Mi sono imbattuto in qualcosa che non mi aspettavo. L’esperienza di Ricci ci insegna che è necessario entrare in dialogo con la Cina, perché è un’accumulazione di saggezza e di storia. È una terra benedetta da molte cose. E la Chiesa Cattolica, tra i cui doveri c’è quello di rispettare tutte le civilizzazioni, prima di civilizzare, direi che ha il dovere di rispettarla con la R maiuscola. La Chiesa ha un grande potenziale nel ricevere la cultura. L’altro giorno ho avuto l’opportunità di guardare i dipinti di un altro grande gesuita, Giuseppe Castiglione, aveva anche lui il virus del gesuita (ride). Castiglione sapeva come esprimere la bellezza, l’esperienza dell’apertura nel dialogo: ricevere dagli altri e donarsi agli altri, su una lunghezza d’onda che è “civilizzata” dalle civilizzazioni. Quando dico “civilizzata”, non intendo solo civilizzazioni “colte”, ma anche civilizzazioni che si incontrano tra loro. Inoltre, non so se è vero, ma dicono che Marco Polo è stato quello che ha portato gli spaghetti (noodles) in Italia. Quindi sono stati i cinesi quelli che li hanno inventati. Non so se è vero. Ma lo dico en passant. Questa è stata l’impressione che ho, un grande rispetto. E più di questo, quando ho attraversato la Cina per la prima volta, mi è stato detto sull’aereo: «Entro dieci minuti entreremo nello spazio aereo cinese e manderemo i suoi saluti». Confesso che mi sono sentito molto emozionato, qualcosa che di solito non mi accade. Ero commosso di stare volando sopra questa grande ricchezza di cultura e di saggezza».

 

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La Cina, per la prima volta nella sua storia millenaria, sta emergendo dal suo ambiente e si sta aprendo al mondo, creando per se stessa e per il mondo delle sfide mai viste prima. Lei ha parlato di una terza guerra mondiale che sta avanzando furtivamente: che sfide presenta tutto questo per la ricerca della pace?

«La paura non è mai una buona consigliera. Se un padre e una madre hanno paura quando hanno un figlio adolescente, non sapranno come educarlo bene. In altre parole, non dobbiamo temere sfide di nessun tipo, dal momento che tutti, maschi e femmine, abbiamo la capacità di trovare vie di coesistenza, di rispetto e di reciproca ammirazione. Ed è ovvio che così tanta cultura e così tanta saggezza e inoltre così tanta conoscenza tecnologica – dobbiamo solo pensare alle antiche tecniche mediche – non possono restare chiuse dentro a un Paese; tendono ad espandersi, a diffondersi, a comunicare. L’uomo tende a comunicare, una civilizzazione tende a comunicare. È evidente che quando la comunicazione avviene con tono aggressivo, per autodifesa, il risultato è la guerra. Ma io non sarei timoroso. È una grande sfida tenere la bilancia della pace. Abbiamo qui la Nonna Europa, come ho detto a Strasburgo. È evidente che non è più Mamma Europa. Spero che sarà ancora in grado di reclamare quel ruolo. E riceve da questo antico Paese un contributo sempre più ricco. Perciò è necessario accettare la sfida e correre il rischio di equilibrare questo scambio, per la pace. Il mondo occidentale, quello orientale e la Cina hanno tutti la capacità di mantenere l’equilibrio della pace e hanno la forza per farlo. Dobbiamo trovare il modo, sempre attraverso il dialogo. Non c’è un’altra via. (Apre le braccia, come per abbracciare).

L’incontro si ottiene attraverso il dialogo. Il vero bilanciamento della pace è realizzato attraverso il dialogo. Il dialogo non significa che finiamo con un compromesso, metà della torta per te e l’altra metà per me. Questo è quello che è accaduto a Yalta e abbiamo visto i risultati. No, il dialogo vuol dire: guarda, siamo arrivati a questo punto, posso o non posso essere d’accordo, ma camminiamo insieme; questo è quello che vuol dire costruire. E la torta rimane intera, se si cammina insieme. La torta appartiene a tutti; questo è quello che vuol dire costruire. Dividere la torta, come a Yalta, significa dividere l’umanità e la cultura in piccoli pezzi. E la cultura e l’umanità non possono essere divisi in piccoli pezzi. Quando parlo di questa grande torta, parlo in senso positivo. Tutti hanno il potere di influenzare il bene comune di tutti». (Il Papa sorride e chiede: «Non so, l’esempio della torta è chiaro per i cinesi?». Annuisco: «Penso di sì»).

La Cina ha sperimentato tragedie senza confronto, negli ultimi decenni. Dal 1980 i cinesi hanno sacrificato quello che è sempre stato il bene più prezioso per loro, i loro figli. Per i cinesi queste sono ferite molto profonde. Tra le altre cose, ciò ha lasciato un vuoto enorme nelle loro coscienze e in qualche modo un bisogno estremamente profondo di riconciliarsi con loro stessi e di perdonarsi. Nell’Anno della Misericordia che messaggio può offrire al popolo cinese?

«L’invecchiamento della popolazione e dell’umanità si sta verificando in molti luoghi. Qui in Italia il tasso di natalità è quasi sotto lo zero, e anche in Spagna, più o meno. La situazione in Francia, con la sua politica di assistenza alle famiglie, sta migliorando. Ed è ovvio che la popolazione invecchi. Invecchiano e non hanno figli. In Africa, ad esempio, era un piacere vedere i bambini nelle strade. Qui a Roma, se camminate in giro, vedrete molti pochi bambini. Forse dietro a questo c’è la paura a cui lei allude, la percezione sbagliata che non cadremo semplicemente indietro, ma che cadremo nella povertà. Perciò, allora, non facciamo figli. Ci sono altre società che hanno scelto il contrario. Ad esempio, durante il mio viaggio in Albania, ero sorpreso di scoprire che l’età media della popolazione ha circa 40 anni. Esistono Paesi giovani; penso alla Bosnia Erzegovina. Paesi che hanno sofferto e che hanno scelto la gioventù. Poi c’è il problema del lavoro. Qualcosa che la Cina non ha, perché ha la capacità di offrire lavoro sia nella campagna che in città. Ed è vero, il problema della Cina di non avere figli deve essere davvero doloroso; perché la piramide è invertita e un bambino deve sopportare il peso di suo padre, di sua madre, di suo nonno e di sua nonna. Ed è estenuante, impegnativo, disorientante. Non è il modo naturale. Capisco che la Cina ha aperto delle possibilità su questo fronte».

Come dovrebbero essere affrontate queste sfide sulle famiglie in Cina, considerando che si trovano in un processo di profondo cambiamento e che non corrispondono più al modello cinese tradizionale della famiglia?

«Nell’Anno della Misericordia che messaggio posso dare al popolo cinese? La storia di un popolo è sempre un percorso. Un popolo a volte cammina più velocemente, a volte più lentamente, a volte si ferma, a volta fa un errore e va indietro un poco, o prende il cammino sbagliato e deve ritornare sui suoi passi per seguire la via giusta. Ma quando un popolo si muove in avanti, questo non mi preoccupa perché significa che stanno facendo la storia. E credo che il popolo cinese si stia muovendo in avanti e questa è la sua grandezza. Cammina, come tutti i popoli, attraverso zone di luce e zone buie. Se si guarda a questo passato - e forse il fatto di non avere figli [più di un figlio] crea un complesso -, è salutare prendersi la responsabilità del proprio cammino. Bene, abbiamo preso questa strada, qualcosa qui non funziona affatto, perciò ora si aprono altre possibilità. Altre questioni entrano in gioco: l’egoismo di alcuni settori ricchi che preferiscono non avere figli e così via. Devono prendersi la responsabilità dei loro percorsi. E andrei oltre: non essere in conflitto, ma sii in pace con il tuo cammino, anche se hai commesso degli errori. Non posso dire che la mia storia è stata cattiva, che odio la mia storia. (Il Papa mi rivolge uno sguardo penetrante).

No, tutte le persone devono riconciliarsi con la loro storia come con il loro percorso di vita, con i suoi successi e i suoi errori. E questa riconciliazione con la propria storia arreca molta maturità, molta crescita. Qui userei la parola menzionata nella domanda: misericordia. È salutare per una persona avere misericordia verso se stesso, non essere sadico o masochista. Quello è sbagliato. E direi lo stesso per un popolo: fa bene a un popolo essere misericordioso verso se stesso. E questa nobiltà d’animo… Non so se usare la parola perdono, non lo so. Ma accettare che questo è stato il mio cammino, sorridere e continuare ad andare avanti. Se uno si stanca e si ferma, diventa astioso e corrotto. E così, quando qualcuno si prende la responsabilità del suo cammino, quando lo accetta per quello che è stato, questo permette alla proprio ricchezza culturale e storica di emergere, persino in momenti difficili. E come si può lasciare che emerga? Ritorniamo a questo punto alla prima domanda: con il dialogo con il mondo di oggi. Dialogare non significa che mi arrendo, perché a volte c’è il pericolo, nel dialogo tra diversi Paesi, di progetti nascosti, cioè, di colonizzazioni culturali. È necessario riconoscere la grandezza del popolo cinese, che ha sempre mantenuto la sua cultura. E la sua cultura – non sto parlando di ideologie che ci possono essere state in passato – la sua cultura non è stata imposta».

 

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La crescita economica del Paese è proceduta a un passo molto rapido, ma questo ha portato con sé anche disastri umani e ambientali che Pechino sta cercando di affrontare e risolvere. Allo stesso tempo, la ricerca dell’efficienza lavorativa sta pesando sulle famiglie con un nuovo costo: a volte figli e genitori sono separati a causa dei doveri lavorativi. Che messaggio può dare loro?

«Mi sento un po’ come una suocera che dà consigli su cosa andrebbe fatto (ride). Suggerirei un realismo salutare: la realtà deve essere accettata, da qualsiasi luogo provenga. Questa è la nostra realtà; come nel calcio, il portiere deve prendere la palla da dovunque arrivi. La realtà deve essere accettata per quello che è. Siamo realistici. Questa è la nostra realtà. Per prima cosa, devo riconciliarmi con la realtà. Non mi piace, le sono contro, mi fa soffrire, ma se non la affronto, non sarà capace di fare niente. Il secondo passo è lavorare per migliorare la realtà e cambiare la sua direzione. Ora, vede che questi sono suggerimenti semplici, è buon senso. Ma essere come un’ostrica, che nasconde la sua testa nella sabbia per non vedere la realtà, non accettarla, non è una soluzione. Bene allora, discutiamo, continuiamo a cercare, continuiamo a camminare, sempre in cammino, in movimento. L’acqua di un fiume è pura, perché scorre in avanti; l’acqua ferma diventa stagnante. È necessario accettare la realtà per come è, senza truccarla, senza ingentilirla, e cercare dei modi per migliorarla. Ecco, qui c’è qualcosa che è molto importante. Se succede qualcosa a una compagnia che ha lavorato per vent’anni e c’è una crisi finanziaria, allora ci sono alcune strade creative per migliorarla. Al contrario, quando accade in un Paese vecchio, con la sua storia antica, la sua antica saggezza e creatività, allora la tensione si crea tra il problema presente e questo passato di ricchezza antica. E questa tensione procura frutti, perché mira al futuro. Credo che la grande ricchezza della Cina oggi risieda nel guardare al futuro da un presente che è sostenuto dalla memoria del suo passato culturale. Vivere in tensione, ma non nell’angoscia, e la tensione è tra il suo passato ricchissimo e la sfida del presente che deve essere portata avanti nel futuro; questo è, la storia non finisce qui».

In occasione del nuovo anno cinese della Scimmia, vorrebbe inviare un augurio al popolo cinese, alle autorità e al presidente Xi Jingping?

«Alla vigilia del Nuovo Anno, vorrei mandare i miei migliori auguri e saluti al presidente Xi Jingping e a tutti i cinesi. E vorrei esprimere la mia speranza che non abbiano mai perso la loro storica consapevolezza di essere un grande popolo, con una grande storia di saggezza, la consapevolezza di avere molto da offrire al mondo. Il mondo guarda a questa vostra grande saggezza. In questo Nuovo Anno, con questa consapevolezza, possiate continuare ad andare avanti per aiutarvi e cooperare con tutti, prendendovi cura della nostra casa comune e dei nostri popoli. Grazie!».

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