In una catena di alberghi

Questa è proprio bella: in Giappone hanno licenziato in massa i robot

Questa è proprio bella: in Giappone hanno licenziato in massa i robot
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Questa volta la storia si è capovolta: anziché licenziare le persone per far largo ai robot, in una famosa catena di alberghi giapponesi dopo tre anni di sperimentazione, sono i robot a lasciare di nuovo il posto agli umani.

Henn-na è il nome del gruppo che nel 2015 entrò nel Guinness dei Primati per aver aperto il primo albergo nella città di Sasebo quasi completamente gestito da umanoidi. Una soluzione dettata dalla volontà di provare a limitare i costi su funzioni che sembravano abbastanza standardizzate. In realtà il problema era anche un altro: il Giappone è Paese a tasso di natalità bassissimo, su livelli italiani, e quindi manca forza lavoro in particolare per alcune mansioni poco remunerative. Così Hedo Sawada, il presidente della catena, aveva pensato di risolvere il problema facendo una piccola ma clamorosa rivoluzione robotica. I vantaggi erano evidenti: niente stipendi da pagare, niente turni, niente rischio di assenze per malattie. Ogni camera era stata dotata di una bambola assistente che guidava in tutte le funzioni. Alla reception c’era un robot. Ed erano dei robot che si incaricavano di prendere i bagagli e di portarli in camera.

 

 

Naturalmente anche queste creature artificiali ben presto hanno mostrato qualche crepa. Così i robot fattorini nei giorni di pioggia andavano spesso in tilt perché l’umidità faceva impazzire i microchip intelligente. Inoltre laddove c’erano dei gradini da superare non sempre riuscivano nell’impresa. I robot alla reception si sono rivelati ancor più inadeguati perché ovviamente incapaci di dare informazioni fuori da quelle standard per le quali erano stati impostati. Quindi niente informazioni su itinerari turistici, su luoghi dove andare a mangiare o su come arrivare in aeroporto in orario. Ad ogni domanda finivano con il dare l’unica risposta che conoscevano: «Ben arrivato, è un piacere averla qui».

 

 

In tutto all’Henn-na di Sasebo erano impiegati 243 umanoidi per servire cento stanze. Numero considerevole come pure l’investimento. Ma gli esiti di questa sperimentazione sono stati tali da indurre il presidente a licenziare, cioè a mettere in cantina, metà dei suoi “dipendenti” artificiali, come racconta Guido Santevecchi il corrispondente del Corriere della Sera da Tokyo. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è un articolo del Wall Street Journal che ha riportato l’esperienza da incubo di un cliente dell’hotel robotizzato. È un uomo d’affari giapponese, Atsushi Nishiguchi, che ha raccontato la sua notte ostaggio della bambola assistente. Infatti l’uomo dormendo russava e il robottino interpretava il ronfo come una domanda che non capiva. Quindi continuava a chiedere a raffica: «Ripeta la domanda per favore». Quando si è trattato di chiamare la reception, il signor Nishiguchi ha scoperto che non ci sono telefoni in camera, perché l’assistente non umana era incaricata di risolvere ogni problema. Alla fine non gli è restato che prendere il cellulare e chiamare la sede della catena alberghiera, per avere finalmente un “umano” a cui esporre il suo problema.

 

 

Comunque i robot licenziati si possono consolare. Non sono i primi a cui è capitato questo amaro destino. Un anno fa a Edimburgo il robot Fabio, messo all’ingresso di un supermercato per orientare i clienti sulla posizione dei prodotti, ha avuto performance molto deludenti, misurate in efficacia quindici volte inferiori a quelle di una persona in carne e ossa. Così la direzione l’ha accantonato. Pare che i dipendenti quel giorno fossero molto tristi per il destino amaro di Fabio...

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