Benvenuti nel regno della violenza (figlia prediletta dell'ignoranza)

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Si uccide per nulla. Basta una scintilla qualsiasi, un banale litigio, uno sguardo di troppo e ci scappa il morto. Muoiono ragazzi durante una rissa scoppiata per i motivi più futili, si accoltella senza pensarci chi ci ha 'usurpato' il posto al parcheggio, si ammazza la moglie o la fidanzata perché hanno deciso di andare con un altro, o semplicemente di starsene da sole. Tanto frequenti sono questi fatti di sangue che quasi quasi non fanno più notizia. A stento seguiamo l'ennesimo episodio e magari lo confondiamo con quello appena accaduto, se non fosse che luoghi e nomi sono diversi.

Insomma, la violenza è il titolo cubitale del nostro quotidiano esistere, proprio in un'epoca in cui si sbandierano e sostengono i valori spesso vuoti e piuttosto insulsi del buonismo così caro al concetto insignificante di politicamente corretto. È una sorta di reazione a tutto ciò che si vorrebbe codificare e 'impacchettare', è l'esito inevitabile di chi vorrebbe recingere l'aria o comprimere in un busto il troppo grasso di una persona obesa? Forse.

Non si è mai detto che proclami da opuscolo per cassette delle lettere possano cambiare una società per davvero. I cambiamenti appartengono a logiche di lenta metabolizzazione di una cultura diffusa che invece stiamo smarrendo in tutti gli ambiti.

La barbarie generalizzata, perfino a cominciare dall'uso sgrammaticato della nostra lingua, non può né potrà mai produrre frutti diversi della propria estrazione di fondo. Si starnazza al cellulare come oche del Campidoglio ovunque ci si trovi, si è privi della più elementare educazione nelle relazioni, si è convinti di valere e si cercano plateali consensi senza accertarsi di aver fatto qualcosa per acquisire quell'autentico valore. Viviamo insomma in una società allo sbando, di immensa e ormai generalizzata cafonaggine – come sostiene lo stesso Vittorio Feltri in un suo libro – che per miopia da ignoranza non riesce più a fare un soldo di autocritica. Ognuno è convinto di essere l'ombelico del mondo, di poter esprimere senza riguardo le proprie opinioni pur vantando la terza asilo, mentre ciascuno emette il proprio verso amplificato dalla suoneria dello smartphone, in una sorta di giungla dove tutto accade e dove tutto è possibile.

Il degrado ha le sue ragioni, l'assassinio la sua semantica. Dov'è che si celebrano i delitti più efferati? Specialmente in quei quartieri delle suburre metropolitane in cui l'ignoranza da sempre l'ha fatto da padrona, in quelle zone che mancano di senso morale, di autodisciplina, della semplice misura di sé per elementare mancanza di una qualsiasi educazione scolastica, per assenza di raffinatezza di pensiero.

Ebbene, c'è da temere che un processo di totale autodistruzione dell'essere umano possa dirsi in atto e abbia ormai i caratteri della irreversibilità, tanto più non avvertito quanto più se ne voglia sminuire la portata. Un uomo 'normale' non prende a coltellate un altro per ragioni futili come la viabilità o una partita di calcio. Una persona attrezzata intellettualmente non si fa vent'anni di galera perché c'è di mezzo una separazione coniugale mai del tutto digerita. Un giovane che studia seriamente e capisce davvero le materie del suo studio (possibilmente sudando sui libri e senza largizioni di punti da catalogo a premi) difficilmente si scaglia contro un coetaneo fino a ridurlo in fin di vita. Quello che sta accadendo celebra soltanto il funerale della nostra cultura, quella delle vere scuole, delle autentiche università, nelle quali ci andavano studenti e non clienti.

Qualunque ebete, qualsiasi essere mono neuronale, ogni minus habens della terra dei nostri tempi non esiterà nemmeno un secondo a farsi giustizia da sé, magari aiutato da una delle tante sostanze messe a sua completa disposizione perché il già poco cervello che ha vada del tutto in acqua.

Come si sa , o meglio si sapeva, l'ignoranza va sempre a braccetto con l'arroganza. E questa miscela esplosiva generi violenza non è affatto, né può esserlo, una sorpresa per nessuno.

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