Una domanda a Papa Francesco

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Caro Papa Francesco,

siamo nel mio tempo preferito. Da una parte la liturgia ci ricorda la più bella delle risposte antiche al Signore – quella del giovane Salomone che chiede in dono la docilità del cuore –, dall'altra il trascorrere dei giorni ci ripropone la più grande fra le risposte moderne – quella di Francesco che domanda il perdono per tutti. Che sorprendente coscienza dovevano avere tutti e due!

Così ardisco farti io una domanda, questa: all'Angelus di domenica scorsa hai manifestato la tua preoccupazione per tre aree di crisi che, in effetti, richiedono tutta la nostra intensità di preghiera e, perché no, anche qualche sacrificio che male non fa certamente.

Però mi domandavo - e ti domando: ma anche tu sei un'area di crisi, anche noi siamo in guerra: ne sei consapevole? Lo siamo personalmente, qui, nelle nostre case in Italia. Mia moglie e io abbiamo tre figlie, tre generi e nove nipoti. Ma abbiamo anche tre altri figli "a distanza" grazie ad AVSI. Il primo di questi, un bambino del Kenia, se lo son portato via i banditi che hanno saccheggiato la missione e non ne sappiamo più niente da anni; la seconda è una bambina del Sud Sudan che deve averne viste di cotte e di crude; il terzo era palestinese e ce lo hanno sostituito con un giordano perché quello di prima non poteva più essere seguito. Ma sono tutti minacciati, son tutti sotto tiro, tutti possono morire da un momento all'altro per mano di quelli che hanno dichiarato guerra a me, a te, a tutti noi che amiamo il Signore Nostro Gesù Cristo. Per questo mi domando: è certamente bene chiedere al Signore che aiuti i belligeranti apparenti (Israele e Hamas, Boko Haram e il governo nigeriano, l'ISIS e Bashar al-Assad o chi altro, ...) a fare pace, ma noi non siamo fuori dal gioco. Ci siamo dentro fino al collo. Mi sbaglio?

Ecco volevo chiederti proprio questo: mi sbaglio?

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