Il referendum in Irlanda e qual è la vera posta in gioco

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Da sabato l’Irlanda, la cattolica Irlanda, il Paese del trifoglio e di san Patrizio, è il primo Paese al mondo ad aver formalmente separato il sesso dal matrimonio.

Il matrimonio, l’istituzione che l’umanità costituì millenni or sono per poter attribuire giuridicamente un cucciolo d’uomo a una coppia stabile e riconosciuta composta da un maschio e una femmina, cessa di essere tale per diventare l’istituto legale che regolamenta una convivenza fra persone la cui sessualità ha perso qualsiasi significato.

Se, come recita la norma aggiunta alla costituzione irlandese: «Marriage may be contracted in accordance with law by two persons without distinction as to their sex» (Il matrimonio può essere legittimamente contratto fra due persone senza distinzione di sesso), non è solo che il matrimonio eterosessuale ha perso le sue prerogative. È che il matrimonio (civile) diventa una cosa diversa da quella cui siamo abituati a pensare dal dì che nozze, e tribunali, ed are (i riti religiosi) consentirono agli uomini di ritenersi qualcosa di diverso dai mammiferi e basta.

Verrà pertanto presto il tempo in cui dovremo affrontare un’ulteriore modifica al dettato costituzionale succitato, una variante che potrebbe suonare: «Il matrimonio può essere legittimamente contratto fra due o più persone senza distinzione di sesso». Il mondo evolve, le parole mutano di significato, le istituzioni seguono a ruota. Meglio, data la lentezza di queste ultime: a un’incollatura o a una macchina.

Pertanto l’osservazione più saggia sul referendum che ha dato il via al nuovo corso l’ha fatta l'arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin: la Chiesa in Irlanda «deve fare i conti con la realtà». E della realtà - dal suo punto di vista - fa parte il fatto che «il referendum è stato vinto con il voto dei giovani e il 90 per cento dei giovani che hanno votato sì ha frequentato scuole cattoliche». Il problema, dunque, non è che abbia vinto il sì alle nozze gay. Il problema è: cosa si insegna realmente nelle scuole cattoliche. Diciamo di più? Qual è l’idea di matrimonio veicolata dalle coppie che si dicono cattoliche e che si sono sposate in chiesa.

Per questo il vescovo Martin ha aggiunto: «Ci dobbiamo fermare, guardare ai fatti e metterci in ascolto dei giovani. Non si può negare l'evidenza». L’evidenza di quella che ha chiamato «una rivoluzione sociale». Per riportare esattamente le sue parole alla televisione irlandese: «Quanto è accaduto non è soltanto l'esito di una campagna per il sì o per il no, ma attesta un fenomeno molto più profondo, una rivoluzione culturale». Che non riguarda solo i giovani, ovviamente. A meno che il simpaticissimo mons. Martin non abbia voluto dare per perse (cosa di cui lo crediamo perfettamente capace) le generazioni dei genitori di quei giovani votanti.

Una rivoluzione che, ci permettiamo ancora di suggerire, richiederà un lavoro non da poco se, a botta calda (e quindi comprensibilmente) il presule ha attribuito la sconfitta dei no - dei cattolici - a «un'idea individualistica della famiglia», e alla perdita del «concetto del matrimonio come elemento fondamentale di coesione sociale».

Resta infatti da spiegare come mai, a fronte della diminuzione dei matrimoni etero (che darebbe ragione al vescovo Martin) aumentano le richieste di quelli omosessuali che, da un punto di vista logico, non sembrano voler affermare un’idea individualistica della famiglia, ma forse il suo contrario. L’individualismo non porta a sposarsi, ci permettiamo di pensare.

Per cui, ha ragione ancora una volta mons. Martin, «La Chiesa deve chiedersi quando è cominciata questa rivoluzione culturale e perché alcuni al suo interno si sono rifiutati di vedere questo cambiamento». Più che chiedersi quando sia cominciata (noi diremmo dai tempi di James Joyce e di Oscar Wilde, ossia dagli ultimi decenni del secolo XIX, ma si può discuterne) sarebbe opportuno cercar di capire in cosa consista e, ancor più, perché la Chiesa d’Irlanda (e non solo quella) abbia fatto di tutto per non vederla, fino ad accusare di blasfemia (o quasi) coloro, tra i suoi figli doloranti, che avrebbero voluto farle aprire gli occhi.

Non si può spiegare la disfatta (la vittoria, per gli altri) di domenica semplicemente agitando il ricordo della buriana legata alla questione della pedofilia contro la quale combatté eroicamente il papa - non ancora emerito - Benedetto XVI.

C’è in gioco molto di più. Non siamo soltanto alle soglie (magari fossero solo le soglie) di «un cambiamento notevole i cui effetti concreti sono imprevedibili", come ha ribadito l'arcivescovo riferendosi agli effetti giuridici del matrimonio sacramentale, in chiesa. «Le coppie gay che se lo vedranno rifiutare potrebbero [infatti] ricorrere ai giudici accusandoci di discriminazione se il legislatore non mette dei limiti». Garantito che accadrà. Ma non è questo il problema principale.

La questione vera da affrontare è la condizione attuale del rapporto fra i sessi e il peso che il sesso ha nella generazione in un tempo - il nostro - in cui, da una parte, un bambino si può ottenere indipendentemente del rapporto consumato in presenza di un maschio e una femmina e nel quale, viceversa, il rapporto in presenza a tutto (o quasi) pare ordinato meno che alla generazione di un bambino.

La fisica di Aristotele e quella di Einstein non sono la stessa cosa, come la psicologia di Platone e quella di Jung. Le parole sono le medesime, le realtà denominate differiscono sensibilmente. Stesso destino è quello della parola “matrimonio”. Ma se i cristiani non saranno meglio educati a capire in cosa differisca “ontologicamente”, ossia nel profondo, un matrimonio sacramentale da uno civile; se si continuerà a difendere il matrimonio “naturale” puntando soprattutto sul vantaggio che esso reca alla società, è probabile che la prossima volta non ci sarà nemmeno bisogno di un referendum. Perché nessuno - una volta che il sesso sia relegato al ruolo di attività occasionale e improduttiva da svolgere prioritariamente in estate a Ibiza o a Mykonos, o nei week-end di pioggia in città (ma anche in auto in zone poco frequentate) -, nessuno capirà più perché mai due persone che desiderino stare insieme fino a quando non decideranno di separarsi non possano farlo.

A quel punto infatti “matrimonio” - la parola “matrimonio” - non si limiterà soltanto ad indicare una cosa diversa dal passato, ma vorrà rimaner lì conficcata nella memoria collettiva soprattutto per testimoniare la vittoria ottenuta da qualcuno contro quel passato, appunto, e contro ciò che di più caro e sacro in esso ad alcuni è stato dato di vivere.

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