Le oche e il mercato della Moncler

Pubblicato:
Aggiornato:

È etica o economica la natura dell’attacco di Milena Gabanelli alla Moncler?

A occhio e croce sembrerebbe più evidente la seconda ipotesi, visto il tonfo in borsa della famosa griffe mondiale che proprio l’anno scorso aveva esordito col botto a Piazza Affari. La giornalista di Report, secondo il taglio invettivo impresso al suo programma, indaga stavolta sulle procedure di “spiumaggio” delle oche che sembrano non essere in linea con le indicazioni etiche previste dalla normativa vigente. Sicura del fatto suo, la Gabanelli sostiene di avere prove concrete in mano per inchiodare alle sue responsabilità Remo Ruffini titolare dell’azienda, che dal canto proprio replica con una querela sostenendo che: «Moncler utilizza solo piuma acquistata da fornitori obbligati contrattualmente a garantire il rispetto dei principi a tutela degli animali».

La polemica su argomenti simili, si sa, è antica: si è fatta e si continua a fare sulle pellicce, sulla sperimentazione farmaceutica a danno di povere bestiole, su alcuni discutibili sistemi di allevamento. Ovvio che prendere in considerazione queste problematiche e cercare di sensibilizzare l’opinione pubblica su temi simili rappresenta un innegabile processo evolutivo in fatto di civiltà.

Ma c’è un ma: o pensiamo di tornare a modelli di economia curtense facendo di colpo a meno di tutto quello che ci circonda, cosa solo romanticamente auspicabile, oppure dobbiamo necessariamente fare i conti con quelle che sono le leggi e le logiche del mercato contemporaneo. Ciniche, addirittura disdicevoli per molti versi, ma inoppugnabili. La Moncler sostiene che i suoi prodotti vengono tutti da paesi certificati. Probabile che sia così. Ma se anche per assurdo fosse dimostrato il contrario, impossibile ignorare come la delocalizzazione sia oggi la pratica più diffusa. Ha ragione Giuseppe Cruciani di Radio24 quando sostiene che in un paese come il nostro dove il sistema è vessatorio a tutti i livelli fino a strozzare qualunque tentativo d’impresa la gente scappa. Marchionne docet: abbiamo nella buona sostanza perso la Fiat, e  amen.

La realtà dei fatti è questa e scandalizzarsi delle conseguenze è da illusi o da collusi: non c’è strada. Fa bene la Gabanelli a condurre i suoi reportage d’inchiesta, lodevoli i suoi intenti e fare del male a un essere indifeso, di qualsiasi genere si tratti, merita tutta la riprovazione possibile. Eppure il dubbio che si tenda a fare leva su modelli imperanti, su forme di sentire massificate imposte soltanto per nutrire il “sociale di moda”, viene. Il mercato è libero: chiunque può fare una scelta, o no? Può decidere di acquistare un prodotto piuttosto che un altro, può puntare sul sintetico o meno, può  stabilire se spendere dieci o mille euro.

La cosa che dunque impressiona è in che modo, facendo salvi eventuali  comportamenti disdicevoli tutti da provare, si pretenda di indirizzare le scelte del singolo arrivando a imprimere una sostanziosa quota morale. Il messaggio “subliminale”, ma poi neppure troppo, fa parte di un “pacchetto” sempre più fitto di suggestioni tese a riformare (non sempre a sensibilizzare…) il sentimento comune: in poche parole se non la pensi in un certo modo sei “out”, probabilmente da educare se non da curare. Vezzi che in qualche misura e fatte le debite proporzioni riecheggiano stili politici in cui ci si arrogava il diritto di dettare legge su tutto, facendo appello a una  morale intrisa di teorica, demagogica e retorica giustizia distributiva.

Quindi, benissimo fare luce sui maltrattamenti. Incomprensibile il resto: tutti sappiamo benissimo, se non siamo caduti adesso dal cielo, che la maggior parte dei prodotti “griffati” non vale quanto spendiamo. Un telefonino, tanto per fare un esempio, proprio uno di quelli per cui c’è gente che si sveglia all’alba disposta a fare la fila e costa un sacco di soldi, molto realisticamente costa per produrlo pochi euro. Il mercato poi fa il prezzo.

Vale per certi vini, vale per i prodotti tecnologici, per l’alta moda e dunque anche per Moncler. Dov’è il problema? Se non si vuole accedere a un marchio, scegliere è una facoltà che sembrerebbe (speriamo ancora per molto tempo…) non negata. C’è internet, esistono i  mercatini, i negozi a buon prezzo, i centri commerciali e le produzioni cinesi. Ah, chissà con cosa producono i cinesi i loro capi?...

Gabanelli, si dia da fare.

Seguici sui nostri canali