Quegli applausi e quelle sciarpe levate al cielo dai 3mila nerazzurri

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«Una squadra grandissima, un avversario che ci ha fatto dannare molto, nonostante il punteggio finale così largo per noi. L’Atalanta merita il nostro applauso». No, non sono affettati gli elogi di Pep Guardiola alla Dea dopo il 5-1 inflitto dal City, sull’onda del maestoso show di Sterling, del micidiale uno-due di Aguero, dell’implacabile legge del più forte che ha fatto valere i suoi diritti. Le parole del Grande Catalano sono un sincero onore ai vinti reso da uno fra i migliori tecnici del mondo, se non il migliore in assoluto. E ha perfettamente ragione Gasperini quando afferma: «Preferisco perdere 5-1 piuttosto che venire qui e chiudermi in difesa per 90 minuti».

Per quanto dolorosa sia, la sconfitta di Manchester segna un’altra tappa nel processo di crescita internazionale della Dea. Sapevamo benissimo sin dall’inizio di questa avventura che il noviziato sarebbe potuto essere doloroso. Così è stato. Ma ci sono ancora tre partite da giocare, l’aritmetica non ha ancora emesso il suo verdetto e, certamente, l’Atalanta saprà giocarle facendo tesoro delle esperienze vissute a Zagabria, in casa con lo Shakhtar e all’Etihad.

Questa prima, storica partecipazione alla Champions consente alla squadra, alla società, alla tifoseria di crescere a ogni livello. Quegli applausi, quei cori, quelle sciarpe levate al cielo dai tremila bergamaschi nella casa del City, incuranti del 5-1 finale, sono la conferma di un amore che non finisce mai. Anzi. Diventa sempre più forte. Rende unica l’Atalanta e chi la ama.

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