Bergamo-Bèrghem città europea

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Ha tutto da perdere Giorgio Gori nel prendere di petto, all’inizio del suo mandato amministrativo, la questione dell’abolizione dei cartelli con la scritta “Bèrghem”  alle porte della città. Cominciare dai simboli, per imporli o per cancellarli, è sempre una scelta insidiosa quando si tratta di governare. E tanto più questo vale per Bergamo, dopo una campagna elettorale nella quale si è visto chiaramente che l’unica ferma opposizione al centrosinistra è stata portata avanti dalla Lega Nord, promotrice da sempre di un’identità locale che nei cartelli bilingue ha trovato una delle sue principali forme espressive (il centrodestra andava a ruota). Porre in cima all’ordine del giorno la diatriba sui cartelli è un invito a nozze, in particolare, per Daniele Belotti, battagliero segretario lumbard, al quale non risulterà certo difficile guastare la festa. Gli adesivi “Tèra de Bèrghem” appesi a centinaia nei giorni scorsi in tutta la provincia sono solo un primo esplicito segnale.

La vicenda dei cartelli ci affligge ormai da quindici anni e a ogni giro di amministrazione qualcuno li mette e qualcun altro li toglie. Ora Gori vuol sostituire “Bèrghem” con “Città europea”. Ma è possibile immaginare che nel cambio di passo promesso non si guardi sempre all’indietro e si provi a lavorare in vista di un vantaggio comune? Riproporre ancora una volta in città un clima ideologico e di delegittimazione reciproca sarebbe un peccato. E non sarà con una scritta che Bergamo cambierà, come per magia, la sua natura diventando improvvisamente europea. Banalizzare la portata dei segni è sbagliato, ma ci chiediamo: sul tappeto non ci sono problemi più urgenti che toccano da vicino la vita delle persone?

E sarebbe così terribile se sui nostri benedetti cartelli vedessimo scritto “Bergamo-Bèrghem, città europea”? Eviteremmo di perdere tempo in discussioni sterili e francamente superate.

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