Dagli imprenditori agli chef

I magnifici 8 del 2016 bergamasco

I magnifici 8 del 2016 bergamasco
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È il lavoro di squadra che consente di raggiungere risultati eccellenti. Ma le squadre hanno bisogno sempre di un capitano. E allora ecco il ruolo del direttore generale dell’aeroporto di Orio, Emilio Bellingardi, che ha condotto lo scalo al traguardo degli undici milioni di viaggiatori (e a cui dedicheremo ampio spazio più in là). E proponiamo altre persone che hanno aiutato la nostra città e la nostra provincia nei rispettivi campi di interesse. E allora il caso dell’allenatore dell’Atalanta, Gian Piero Gasperini, il più popolare. La Dea dei giovani, dell’entusiasmo, dei grandi risultati. Fiducia, intelligenza, sguardo in avanti. E poi c'è Domenico Bosatelli, che ha proposto la riqualificazione di una bella fetta di Bergamo, quella dell’ex Ote, oltre 70mila metri quadrati per un nuovo quartiere di avanguardia con abitazioni, area commerciale, parchi e, soprattutto, il nuovo palazzetto dello sport della città. Da Bosatelli a Chicco Cerea; in una graduatoria che comprende pareri di critici e recensioni del mondo di 135 Paesi, quest ’anno il suo ristorante Da Vittorio si è piazzato al nono posto. Chicco Cerea lo scorso anno dai suoi colleghi chef stellati è stato inserito nell’olimpo dei cinquanta migliori cuochi del mondo. Nel mondo della politica segnaliamo Alessandro Sorte, Forza Italia, perché in Regione, come assessore, si è dato molto da fare per la nostra città, collaborando attivamente con altre istituzioni come la Provincia, presieduta da Matteo Rossi, esponente del Pd. Per la cultura abbiamo pensato a Francesco Micheli che è arrivato a Bergamo con una visione nuova della musica lirica e con tanto entusiasmo. Idee ed energia per fare del festival di Donizetti il centro di un’apertura di Bergamo al mondo. Nella sfera dell’impresa c’era l’imbarazzo della scelta: abbiamo pensato a Pierino Persico per i successi della sua azienda e perché il presidente della Repubblica gli ha conferito quest’anno l’onorificenza di Cavaliere del Lavoro. E infine ancora lo sport, questa volta con una disciplina individuale, lo sci. È il caso di Sofia Goggia che dopo tanti incidenti e sfortuna finalmente sta dimostrando il suo valore sui campi bianchi: le sue imprese entusiasmano, ha inanellato diversi podi in Coppa del Mondo. E poi Luca Lorini e la sua equipe di anestesia e rianimazione del Papa Giovanni: nel luglio scorso hanno strappato alla morte un ragazzino annegato, rimasto in fondo al lago per diciotto minuti. È la buona, anzi, buonissima, sanità.

 

Gian Piero Gasperini

Gasperini

La sorpresa di questa prima parte di Serie A è l’Atalanta, parola di allenatori. Più precisamente di diciassette tecnici (su venti) della massima serie italiana, interpellati al riguardo dall’agenzia di stampa Italpress. Tra questi, anche Gian Piero Gasperini ha risposto «Atalanta». Che poi sarebbe la sua squadra. Perché il tecnico di Grugliasco ha mangiato abbastanza campo da poter lasciare ormai da parte la falsa modestia. Sta facendo un lavoro incredibile qui a Bergamo e non ha paura a dirlo. Se Genova, sponda Genoa, è stata la consacrazione, il capoluogo orobico può essere il suo capolavoro. Una macchina perfetta, più che una squadra, costruita a sua immagine e somiglianza. Gioco veloce, fraseggio rapido, pressing estenuante, uno-contro-uno a tutto campo. Grinta e ossessiva attenzione ad ogni singolo dettaglio. In panchina, ma soprattutto in campo. E poi coraggio, tanto coraggio. Quello che in estate lo ha portato a dire sì a un progetto complicato in una piazza complicata, e quello che lo ha portato, proprio mentre si trovava sull’orlo del burrone, a giocarsi il tutto per tutto. Una scommessa (vinta) che ha diversi nomi e diversi cognomi: Mattia Caldara, Roberto Gagliardini e Andrea Petagna. Giovani, belli e bravi. Sono figli suoi, calcisticamente. Perché anche altri dicevano che erano bravi, ma pochi li avrebbero buttati nella mischia nella partita più difficile, quella del dentro o fuori. E invece, col Napoli, sono arrivati i tre punti e una prestazione maiuscola. L’Atalanta ha preso il volo, Bergamo ha iniziato a sognare e Gasp a sorr idere. Sguardo corrucciato, carattere sabaudo ma lingua (tagliente) ligure, il tecnico formatosi nelle giovanili della Juventus si sta prendendo qualche rivincita. Vive di calcio, respira calcio, pensa calcio. Lo dicono tutti, a Zingonia. Qualche giocatore, quando le cose andavano maluccio, storceva il naso davanti ai carichi di lavoro dell’allenatore. Oggi, invece, lo ringraziano. Perché uno dei meriti di Gasperini è quello di esser riuscito a tirare fuori il meglio da ognuno dei suoi ragazzi, anche senza che loro lo sapessero. Masiello, Toloi, Kessie, Spinazzola, Kurtic: tutti protagonisti inaspettati. E allora perdoniamo al mister un po’ di vanità, di sano narcisismo. Ma la verità è che se l’Ata - lanta dovesse continuare così, gli perdoneremmo tutto.

 

Domenico Bosatelli

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Che tipo, il Bosatelli. Sigaretta sempre in bocca e sguardo fiero di chi si è fatto da sé, fondando nel 1970 quella che oggi è una potenza mondiale del settore elettrotecnico, la Gewiss Spa. Per il Cavaliere del Lavoro, il 2016 è stato un anno partito in salita. Motivo? I Panama Papers. Ad aprile, sulle pagine de L’Espresso, il nome dell’82enne imprenditore bergamasco viene accostato a quello di altri soggetti che avrebbero depositato milioni e milioni di euro in conti correnti aperti in paradisi fiscali. Secca, in pieno stile Bosatelli, la risposta del patron Gewiss: «Personalmente ho da sempre dichiarato i miei redditi e pagato le imposte in Italia». In altre parole, tutto regolare. Arrivederci e grazie. Dei Panama Papers si son perse poi le tracce, di Bosatelli in questo 2016, invece, no. A fine ottobre, infatti, l’imprenditore ha presentato a tutta Bergamo “Chorus Life”, progetto di riqualificazione dell’immensa area (oltre 70mila metri quadrati) dell’ex Ote. Lì nascerà un nuovo quartiere all’avanguardia, con abitazioni, area commerciale, parchi e, soprattutto, un nuovo e bellissimo palazzetto dello sport. Un investimento da centoventi milioni di euro, «tutti miei, senza fare speculazioni, non venderemo niente, tutto sarà messo in affitto», e che «produrrà economia e lavoro per seicento milioni di euro» dice. Questo quartiere, per il Cavaliere e la sua Gewiss rappresenterà anche una sorta di laboratorio sulle possibili applicazioni del digitale sugli impianti per le case e gli altri edifici. E sarà un meraviglioso biglietto da visita aziendale nel mondo, se proprio ce ne fosse bisogno. Alla presentazione del progetto, noi di BergamoPost ci eravamo lanciati: chiamatelo “Quartiere Bosatelli”, abbiamo scritto. Ma lui, a Bergamonews, fa spallucce: «Ma no. Il concept è mio, ma con una grande collaborazione intorno di gente entusiasta che condivide un’idea e che sono prestatori di professionalità di alto livello, dal punto di vista tecnico, estetico, ludico». E quando gli si chiede a cosa si sia ispirato nell’immaginare “Chorus Life”, la risposta è da standing ovation: «L’ho pensato avendo come modello da non seguire l’Eur di Roma che la sera si svuota e se ti serve uno spazzolino da denti devi farti 45 minuti di taxi e andare in centro per acquistarlo». Se tutto filerà liscio, “Chorus Life” sarà pronto nel 2020 e darà un nuovo volto a tutta la città. Chissà quante altre sigarette si sarà fumato il Cavaliere.

 

Chicco Cerea

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L’hanno chiamata lapidariamente La Liste ed è di fatto la guida delle guide gourmet. Una classifica incredibile, che comprende 135 Paesi e riunisce pareri di critici a recensioni del pubblico. Ora, a questo giro il Ristorante Da Vittorio ha ribaltato il giudizio del 2015, lasciandosi alle spalle il 90esimo posto per passare dritto dritto al nono. Una zampata da leone, per il ristorante della famiglia Cerea e per il suo chef patron Chicco. Il segreto del successo? Di certo un incredibile lavoro di squadra. Ma a guidare un team vincente c’è pur sempre un leader. Non serve ripeterne il nome, basta ricordare che a febbraio dell’anno scorso i colleghi stellati l’hanno eletto tra i migliori cinquanta chef del mondo. Dietro, una vita dedicata a questo mestiere. Chicco ha solo tre anni quando suo padre, l’indimenticabile Vittorio, apre il ristorante, e ne ha pochi di più quando, rientrando da scuola, getta di corsa la cartella in un angolo per salire sulla sua cassettina di legno e iniziare a lavorare. È piccolo, ma sbircia tutto, prova tutto, impara tutto. Vittorio già lì spera che quel bimbo continui quel che lui ha iniziato. È anche per quello che prende contatti per lui all’estero, lo vuole in giro per il mondo per scoprire e rubare il mestiere ai migliori. È lì che cambia tutto. Perché quando Chicco ritorna, il ristorante inizia ad avere una marcia in più, con idee rivoluzionarie. Vittorio lo lascia fare, intuisce che è lì, il futuro. Poco dopo arriva la seconda stella. La terza, Vittorio non la vedrà. Dunque, solo merito di una buona formazione? A dirci di no è la madre, la signora Bruna: «Forse è proprio il lavoro giusto per lui, quello che doveva fare nella vita. Io mi ricordo: arrivava a casa e si inventava di quelle cose che noi non avremmo mai nemmeno potuto sognarci». A guardare all’entusiasmo e alla maestria con cui ancora sfiletta un pesce appena arrivato, o al naso finissimo con cui capisce quali ingredienti sono stati aggiunti in una pentola a sua insaputa, o a quel suo inclinare la testa davanti a un piatto senza mollarlo fino alla fine (e la fine è la perfezione), viene in mente solo fuoriclasse. Sì, è il sostantivo adatto. E uno ci nasce.

 

Alessandro Sorte

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Giovane esponente di Forza Italia, 32 anni, residente a Brignano, è diventato assessore alle Infrastrutture e alla Mobilità della Regione Lombardia nel 2014. Ha sorpreso molti per la sua capacità di muoversi su terreni impervi e di interpretare il ruolo col piglio di un veterano, probabilmente forte anche dell’esperienza maturata in Consiglio provinciale e come coordinatore locale di Forza Italia. Nell’ex Pdl era il rappresentante di punta dell’area laica e alle elezioni regionali aveva raccolto 2900 voti di preferenza, dietro a Capelli (oltre 7mila), poi passato all’Ncd. Sorte in questo anno ha dimostrato di muoversi bene, avendo sempre presenti le necessità della Bergamasca. Tra le ultime opere portate a casa grazie al suo interessamento ci sono il raddoppio della Montello-Ponte San Pietro, con la fermata all’ospedale di Bergamo, il finanziamento del nuovo rondò dell’autostrada e il treno Bergamo-Orio, per un totale di quasi 200 milioni di euro, metà dei quali già stanziati. Si è dato da fare anche per la sicurezza sui treni, divenuta un grave problema, introducendo le guardie giurate sui convogli, in particolare sulle tratte di Bergamo e Treviglio. Dal punto di vista strettamente elettorale, dopo aver perso alle comunali di Caravaggio e Treviglio, si è rifatto nelle ultime elezioni provinciali: la lista civica di area Forza Italia è stata infatti l’unica ad aumentare i propri rappresentanti in Consiglio (da due a tre). La vittoria del “no” al referendum costituzionale gli ha dato ancora più forza. Questo non gli ha impedito di muoversi in un clima di collaborazione istituzionale anche con il centrosinistra, mantenendo fermo l’asse in Provincia con il presidente piddino Matteo Rossi e con il Pd bergamasco, avendo come principale interlocutore l’onorevole Giovanni Sanga. In Regione è sempre rimasto leale al presidente Maroni e alla linea di centrodestra, improntata alla concretezza. Persona inclusiva e poco ideologica, Sorte ha stupito anche gli avversari politici per la sua capacità di dialogare, cercando sempre di allargare il consenso. Proporzionalista e centrista convinto, è apprezzato dal governatore ligure Giovanni Toti e da Mariastella Gelmini. Figlio di imprenditori, ha scelto la politica nonostante le perplessità e le riserve della famiglia. Viaggia con l’auto personale e ha rifiutato l’autista, i rimborsi e i telefoni di servizio.

 

Francesco Micheli

Francesco Micheli è l’uomo che ha deciso di riportare Gaetano Donizetti al centro della nostra città. Per Bergamo, ma non soltanto. Si potrebbe dire che è il mondo che chiede un festival donizettiano di alto livello, perché tutto il mondo conosce Gaetano Donizetti, basta entrare in qualsiasi negozio di dischi, da Londra, a New York, a Tokyo. Basta guardare la programmazione di musica lirica dei più importanti teatri del mondo. Micheli - direttore artistico del festival - lo sa, sa che la nostra città possiede una ricchezza importante, che può dare molto frutto. Dal punto di vista culturale, turistico, economico. Non è un caso che l’ultimo festival Donizettiano, appena concluso, abbia riscosso un grande successo e che addirittura il pubblico fosse formato dal 40 percento di stranieri. Micheli ha fatto tesoro dell’esperienza maturata a Macerata dove coordina la stagione lirica dello Sferisterio e l’ha riportata a Bergamo. Con una differenza fondamentale: Macerata non è la città di Donizetti. Questo rende la capacità attrattiva di Bergamo del tutto particolare, nei riguardi del nostro Paese, dell’Europa, e non soltanto. Ha detto Micheli: «Donizetti Opera è la lunga festa di compleanno che la città di Bergamo offre a Gaetano Donizetti al mondo, ed è da tutto il mondo che il pubblico accorre per celebrare un artista ancora così eloquente, lo dimostrano le produzioni operistiche che ne fanno riscoprire gioielli sconosciuti». Il festival ha visto un incremento del 49 percento degli abbonamenti e del 24 percento degli incassi che hanno sfiorato i 400mila euro. Riportare Donizetti al centro del mondo bergamasco può significare creare legami virtuosi con i luoghi dove il compositore ha vissuto ed è stato apprezzato: Bologna, Napoli, Parigi. Può significare intessere legami culturali, turistici, economici. E rappresentare un punto di partenza anche per una nuova stagione culturale della città che non si limiti solamente alla musica lirica, ma spazi avanti e indietro nel tempo anche nell’arte, nella letteratura. Il festival Donizetti Opera può rappresentare l’occasione di sviluppo e riscoperta anche relativa a diversi altri musicisti bergamaschi, da Giovanni Legrenzi, a Pietro Antonio Locatelli, ad Alfredo Piatti, Gian Andrea Gavazzeni.

 

Pierino Persico

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Cinquecento dipendenti, di cui quattrocento a Nembro, anche grazie all’acquisizione di un nuovo stabilimento, quello che apparteneva alla Fondmetal. La Persico spa continua la sua avanzata nel mondo della produzione grazie soprattutto all’automotive, cioè agli interni delle automobili, per esempio ai cruscotti. E sono proprio gli interni della Stelvio, il nuovo Suv dell’Alfa Romeo, che hanno consentito alla Persico nei giorni scorsi di ricevere il premio dalla Fiat-Fca. Un premio toccato a venti delle mille ditte fornitrici di Fca, quindici delle quali straniere. Pierino Persico ha fondato l’azienda a metà degli Anni Settanta, partendo da uno scantinato. Nello scorso novembre è stato insignito del titolo di cavaliere del lavoro da parte del presidente della Repubblica, Mattarella. Dice Pierino Persico: «Non esiste una ricetta particolare per il successo, solo un impegno continuo. Io sono partito da uno scantinato, con l’aiuto di mia moglie Isa. Facevo il modellista. La gente non sa bene che cosa sia questo lavoro. Ogni oggetto, per esempio il volante di un’auto, un bicchiere, una forchetta, prima di venire prodotti in serie hanno bisogno di uno stampo, questo stampo si realizzava con un modello in legno dell’oggetto progettato. E il modello doveva essere perfetto, altrimenti i suoi difetti sarebbero diventati i difetti dello stampo e quindi del prodotto… Oggi non si usa più il modello in legno realizzato dall’artigiano ‘coi baffi’, cioè un maestro del suo mestiere. Oggi ci pensano i computer con materiali sintetici a passare dal disegno al modello». Con gli anni la Persico ha modificato il tipo del suo lavoro, i modelli sono rimasti, ma sono arrivate anche la produzione di elementi automotive, è arrivata la realizzazione di scafi di barche in fibra di carbonio (famosa Luna Rossa), ed è arrivata la progettazione e costruzione di macchine per la produzione dei singoli pezzi da usare per esempio sulle autovetture.Nel 2015 la Persico ha assunto quarantadue nuovi dipendenti, nel 2016 i nuovi assunti sono stati ben centoquattro, di cui trenta al loro primo impiego. Dice Pierino Persico: «Oggi contano qualità e prezzi. E allora serve una continua innovazione. Non si può stare fermi un secondo, non si può davvero mai riposare sugli allori. Questo significa che il novanta per cento dei nuovi assunti è laureato o diplomato, sono tutte persone che presentano capacità molto spiccate. Il progetto degli interni della Stelvio ha impegnato per due anni ben venti ingegneri».

 

Sofia Goggia

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Per dire che è bella, basta vederla. Per dire che è brava, basta guardare i risultati. Per dire che è anche brillante, simpatica e intelligente, invece, bisogna conoscerla. E qui a Bergamo, Sofia Goggia la conoscono in tanti. Perché qui è nata e qui vive, in Città Alta. Peccato che fino a un mesetto fa, al di là dei confini orobici, la conoscessero in pochi. Sebbene abbia debuttato nel circuito FIS (quello dello sci professionistico) nel 2007 e nel 2013 sia arrivata seconda nella classifica generale della Coppa Europa, i suoi risultati non l'hanno mai portata alla ribalta delle cronache sportive nazionali. E non perché non fosse brava, ma perché la sfortuna, che ci vede molto meglio della cugina bendata, se l’è un po’ presa con lei. È il 2009 quando, per la prima volta, subisce un infortunio al ginocchio. Riabilitazione, tanto lavoro, un sacco di fatica, poi il ritorno sugli sci. Una stagione per tornare competitiva e la speranza di poter puntare in alto l’anno dopo. E invece, nell’autunno inoltrato del 2010, di nuovo l’incubo: stesso ginocchio, altro infortunio. Sofia, ancora una volta, si rimbocca le maniche. Suda, manda giù tanti rospi, si fa il mazzo. E torna sugli sci. E lo fa alla grande, entrando prima nella squadra italiana di Coppa del Mondo e poi nel Gruppo Sportivo Fiamme Gialle. Il 7 dicembre 2013, durante la discesa libera di Lake Louise, l’infortunio più grave: il legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro fa crack. Questa volta il recupero è ancora più difficile, di mezzo c’è anche un’operazione, e la domenica, da sempre per lei il giorno più speciale, quello delle gare, diventa il giorno del riposo dalle fatiche della riabilitazione. A distanza di tre anni da allora, Sofia Goggia è la regina dello sci italiano. Sembrano così lontani i tempi degli infortuni, dei pianti, delle ginocchia che si sbriciolavano come cracker. Adesso Sofia, 24 anni, è la nuova Isolde Kostner o la sempre grande Deborah Compagnoni. Paragoni che lei slalomeggia come fa sugli sci: «Faccio spallucce, mi metto accanto a loro, ma sono ancora piccola piccola - ha detto proprio a noi di BergamoPost -. Chiaramente fa piacere. Però quei paragoni sono una cosa immensa». Sarà, ma intanto oggi è quarta nella classifica di Coppa del Mondo, e ha inanellato una sequela di podi da urlo. Lei sorride, bella come sempre. Ma ora tutti sanno anche quant’è brava e brillante. Se lo merita, Sofia.

 

Luca Lorini

«È stato un fatto straordinario, non c’è dubbio; possiamo dire che quel ragazzino finito in fondo al lago è stato davvero strappato dalla morte. Ma il merito non è mio, è di tutta la mia squadra del dipartimento di anestesia e rianimazione del Papa Giovanni e di tutti quelli che sono intervenuti». Luca Lorini è il direttore del dipartimento, incarico che ricopre dal 2001. Un dipartimento di avanguardia, dotato di macchinari sofisticati, dell’unica macchina riconosciuta dal ministero adatta alla circolazione extracorporea pediatrica. Il dipartimento è stato protagonista di un caso eccezionale. Era il 7 luglio scorso, un ragazzino giocava con altri bambini su un pontile a Sarnico, al Lido Nettuno, quando è scivolato in acqua. Il dodicenne, Assane Diop, non era capace di nuotare. Ha cercato di venire a galla un paio di volte, poi è sprofondato davanti agli occhi esterrefatti dei compagni che superato il primo smarrimento hanno cominciato a gridare, a cercare aiuto, sono arrivate diverse persone, qualcuno si è buttato nel lago, ma inutilmente. Fino a quando sono arrivati due giovani, un ragazzo e una ragazza, che si sono tuffati e sono scesi sul fondo, a circa cinque metri: Assane era esanime a testa in giù nel fango. Lo hanno recuperato, sono riusciti a riportarlo alla superficie. Nei minuti del recupero erano già arrivati al pontile i soccorritori del 118. Il corpo del ragazzo era però senza vita. Dice Lorini: «Dal momento dello scivolamento al recupero sono passati diciotto minuti. Poi altri quarantadue minuti in arresto cardiaco assistito da un rianimatore professionista che ha avviato massaggio cardiaco e ventilazione. È arrivato da noi saltando pronto soccorso e tutto, direttamente nella nostra sala operatoria che ospita la macchina Ecmo, tutti gli operatori erano pronti. Il ragazzo è stato attaccato alla macchina. Il trattamento è durato una settimana». Assane ha ripreso a vivere contro tutte le aspettative. Ma non solo: non ha subito alcun danno cerebrale. Dice Lorini: «Lo abbiamo visitato anche questo mese. Perfetto. Come può essere? Diciotto minuti senza respirare sono tanti... Possiamo pensare che abbia preso ossigeno nei due affioramenti prima di annegare. Probabilmente è scattata anche una vasocostrizione ipossica, quel fenomeno per cui i bambini piangono fino a non avere più fiato e diventano scuri in faccia. È un meccanismo difensivo anche contro i rigurgiti: questo restringimento ha impedito a troppa acqua di entrare nei polmoni. Resta comunque un caso molto particolare».

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