«Carta d'identità prego»

Pensieri segreti di una commessa La questione documento in cassa

Pensieri segreti di una commessa La questione documento in cassa
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Sappiamo tutti che oggi la sicurezza è una cosa importante. Soprattutto nell’era digitale, in cui sembra che dietro ogni clic sia nascosto un hacker pronto a rubarci i soldi, il pin e anche l’identità. Ecco perché, cari clienti diffidenti, vi chiediamo un documento d’identità quando effettuate i vostri pagamenti con la carta di credito. Per la vostra sicurezza, per evitare che vi freghino tutti i soldi caso mai vi fosse cascato il portafogli in corsia. Per accertarci che nessuno vi prosciughi il conto in banca comprando quintali di pasta asciutta alla cassa. Ma soprattutto lo facciamo perché siamo obbligate. O-b-b-l-i-g-a-t-e!, capito? Ce lo impongono, anche per quando volete pagare le cicche con la Visa (la moneta è roba antica, dai). Pare invece che la logica del “devo mostrare il documento se pago con la carta di credito” sia vista ancora con diffidenza dai nostri modernissimi clienti. Il copione inizialmente è sempre lo stesso: «Pago con la carta», dice sorridente il signore che ha appena acquistato una colla stick. «Favorisca il documento», replica in automatico la cassiera. Inizia lo show.

 

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Il cliente inebetito. Si pietrifica con la carta a mezz’aria. Vi guarda come se gli aveste chiesto di elencare i numeri del pigreco e poi balbetta: «Come un documento?». Sembra che sia appena giunto da un altro pianeta dove il concetto di identità non esiste. Ha presente quel pezzo di carta con scritto come si chiama, con la sua foto e altre cose utili? Se non sa dove recarsi uscito da qui, lo consulti!

Il cliente sospettoso.«A cosa le serve?», dice infilandosi la mano nel taschino del cappotto. La cassiera è incerta, starà cercando la patente o una pistola? Preferisce non considerare la domanda e sorridere. Ma niente, lui resta bloccato in quella posizione da tenente Colombo che cerca il suo sigaro nel trench e vi fissa inquisitorio. A cosa mi serve secondo lei? A rubare le sue generalità per scappare in Messico? Sono un’investigatrice travestita da commessa che si apposterà sotto casa sua? Ah, ci ha scoperte. Non si fidi, io e la temibile banda delle cassiere stiamo organizzando un colpo in gioielleria e rubiamo l’identità dei clienti più furbi.

 

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Il cliente frettoloso. Non dice niente, sbuffa e vi mostra la patente per un microsecondo, per poi riporla nel portafogli alla velocità della luce. Ovviamente, data la dimensione delle patenti, la vostra miopia da laser di cassa e le luci al neon, non avete visto un tubo. Quella patente poteva anche essere quella di sua nonna. Così dovete chiedergli di mostrarvela di nuovo, con tono gentile, si intende: «Scusi, posso vederla di nuovo?». «Perché, cosa c’è che non va?», esclama il passivo-aggressivo con manie di persecuzione. Niente, ma devo leggere le generalità per verificare se corrispondono alla carta. Lui allora riprova il gesto rapido, mentre sbuffa come una locomotiva, ma non sa che le cassiere sono sottoposte a un addestramento ninja speciale. Agguanta la sua patente e la tiene stretta, per più secondi del necessario, giusto per farlo schiumare un po’. Cassiera 1 – cliente razzo 0.

Il cliente disarmante. «Perché, non si fida?». Certo, caro sconosciuto, io dell’umanità mi fido. Fosse per me spalancherei le porte del supermercato, toglierei le barriere antitaccheggio, licenzierei le guardie e arriverei al lavoro su un unicorno rosa. Tuttavia, il mio datore di lavoro è molto meno ottimista di me. Non si fida e mi costringe a far virare la mia anima candida verso la diffidenza, che volgarità. Perciò, a meno che tu non sia Gesù Cristo in persona, mi devi fornire un documento. Rassegniamoci alle bassezze della vita.

 

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Il cliente vergognoso (giustamente). Gli unici clienti per cui provo una punta di simpatia sono quelli che arrossiscono e mostrano il documento voltando la faccia dall’altra parte. Sono quelli che hanno ancora la patente di filigrana rosa con la foto che forse è ancora una litografia e che sarebbero più riconoscibili se mi mostrassero la figurina di Pikachu. Oppure che il giorno in cui hanno fatto la fototessera avevano la malaria, l’alopecia e avevano fatto a pugni in discoteca. Fotografie talmente surreali che la cassiera rinuncia persino al riconoscimento, tanto sarebbe come ricomporre un corpo dopo un incendio. Chiude semplicemente il documento con rispetto e passa la carta di credito senza fare domande. Se sulla patente di guida assomigli a uno dei Cugini di campagna, hai un po’ il diritto di pagare con la carta di qualcun altro.

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