Non siamo noi il vostro nemico

Pensieri segreti di una commessa Le insensate frasi di certi clienti

Pensieri segreti di una commessa Le insensate frasi di certi clienti
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Oggi, si sa, tutto il mondo è pronto a difendere i propri diritti a spada tratta. Certo, è comprensibile; ci sentiamo tutti sfruttati e raggirati e la trasparenza non è sempre la caratteristica principale del settore commerciale. Vero è però che, secondo me, alcune volte il pubblico non capisce esattamente contro chi scagliarsi a spada tratta. Peccate nell’individuazione del nemico. Insomma, molto spesso la commessa non c’entra niente. Tuttavia si becca sempre le vostre sfuriate, anche quelle con cui non ha nessun nesso.

 

 

La più ricorrente è questa: «Non mi sono trovata bene, non tornerò più in questo negozio». Una parte di questi clienti non ha ben capito il concetto di catena commerciale e pensa ancora che se il negozio va male il danno sia diretto alla commessa, come se l’attività fosse la sua. Inoltre, nella maggior parte dei casi la commessa in questione non ha nemmeno scelto di fare quel mestiere, si trova in una fase transitoria della sua vita e non ha il minimo interesse per le sorti di questo negozio. È con sommo dispiacere che vi rivelerò che il suo pensiero, mentre vi dice con aria contrita «Mi dispiace», è in realtà: «E anche oggi ho vinto!». E tanto poi lo sappiamo che non è vero. Tornate sempre, siete peggio di un ex fidanzato patetico: dite di odiarci e di trovarvi malissimo con noi, ma in realtà siete dipendenti. Tra l’altro confermate proprio il vostro bipolarismo salutandoci come se niente fosse e spendendo cento euro.

La seconda frase ricorrente dei nostri clienti lamentosi preferiti è: «Questo articolo è difettoso, rivoglio indietro i miei soldi» (con enfasi su «miei», da perfetto borghese imbruttito). Ormai, come ben sapete, la politica di qualsiasi negozio è di cambiare tutta la merce anche se l’avete palesemente usata per passeggiare nel letame il giorno prima, ma non sempre consente di restituire i contanti. Perciò, se la commessa vi dice che non può, è inutile che insistiate. Non può ora e non potrà nemmeno se la minacciate di tagliarle i copertoni; le rispondete come se fosse la vostra schiava; spergiurate su vostra madre che non lo direte a nessuno; le raccontate che questo prodotto era inserito in una serie di magliette color amaranto e invece alla fine, osservato alla luce della vostra cucina, si è rivelato essere color papavero e che quindi proprio non si può abbinare con niente che possedete. Le regole del negozio non le fanno le commesse, perciò se lei vi restituisse i dieci euro alla fine della giornata risulterebbe un ammanco di cassa di dieci euro per cui la suddetta dovrebbe compilare plichi interi di moduli.

 

 

Altro ritornello: «Voglio parlare con il direttore!». La frase può scattare per qualsiasi cosa: un cambio merce non effettuato, una promozione saldi che voi avete capito in modo sbagliato, Saturno in opposizione a Marte, il colore della mia maglietta che turba la vostra aura. Questa frase, secondo me, la usate perché la sentite nei telefilm. Vi sentite importanti a parlare niente meno che con “il direttore!”. A meno che voi facciate shopping negli uffici della ditta, ricordate che nei negozi, al massimo, ci sarà un responsabile, che certo non muore dalla voglia di parlare con voi. E che comunque non ha il potere di licenziare in tronco la terribile commessa che vi ha fatto piangere. Perciò, sorpresa! Domani sarò ancora qui a vendervi le cose che non avete voluto comprare oggi per vezzo.

I miei preferiti, comunque, sono i clienti legali: «Vi denuncio tutti!». Anche in questo caso, per atti gravissimi come aver sbagliato a battere lo scontrino o non aver applicato la promozione corretta o anche aver insinuato che la cliente avesse infilato una ciabatta nella borsa dopo averla visto ravanare inutilmente nel cestone per mezz’ora e cercare di uscirsene fischiettando con un cartellino che penzola dalla zip. I clienti legali io me li immagino sempre con una scorta di avvocati che li accompagnano in tutti i loro acquisti o con una scrivania piena zeppa di atti giudiziari. Non capisco mai se con quel «tutti» vogliono denunciare me, il negozio, la catena multinazionale, il centro commerciale, il libero mercato, il contratto nazionale del lavoro, la categoria dei lavoratori, o proprio tutta l’umanità. Sappiate che quando sbraitate le vostre infondate minacce giudiziarie, la tentazione di chiedervi: «Sia più specifico, non ci lasci nel dubbio», è molto forte. Ma, come al solito, ha più presa su di me la fine del turno e la voglia di andare a casa a reclamare una cena.

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