Elegante? Perlage?

Pensieri segreti di una commessa Aiuto, l'intenditore al reparto vini!

Pensieri segreti di una commessa Aiuto, l'intenditore al reparto vini!
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I nostri supermercati hanno ormai tutti un fornitissimo reparto vini. Scaffali e scaffali di bottiglie, suddivise per colore, regione, etichetta, cantina, grandezza e tappo. C’è veramente l’imbarazzo della scelta. Ed è con grande imbarazzo che oggi vi svelo un altro segreto. Gli addetti al reparto vini, nell’80 per cento dei casi, non ne sanno proprio niente. Forse sono anche astemi. Si limitano a inserire la merce nel posto giusto perché così dice l’etichetta regionale. Fine della loro cultura. Per questo quando arriva lui, l’intenditore di vini, tutti cercano di defilarsi. Se se ne intende, si arrangerà da solo no?

Una faccenda biblica. Di solito lui è un uomo, con il carrello vuoto. Viene al supermercato solo per comprare il vino, tutto il resto non è contemplato. Si fa due o tre volte la corsia indeciso sulla regione da cui attingere. I bancali con le offerte non li considera nemmeno ovviamente, i gusti degni di nota sono solo quelli sopra i venti euro. Osserva dal mezzo della corsia, indeciso se andare dalla parte dei rossi o da quella dei bianchi. Quando il sommelier entra nel reparto, è una faccenda biblica. Ci fa sentire tutto il peso della sua conoscenza dal mondo in cui passeggia grave tra i cartellini delle regioni. Troppa conoscenza, anche meno basterebbe.

 

 

Soppesa la bottiglia. Finalmente sceglie l’area di suo interesse. Si avvicina, prende in mano una bottiglia e la soppesa. L’addetto lo tiene d’occhio, finge intanto di sistemare qualcosa per fuggire al momento giusto in modo non sospetto. Legge l’etichetta, ma qualcosa sembra disgustarlo. Cosa ci sia di disdicevole in quella bottiglia non lo sapremo mai, la ricaccia in mezzo alle altre e poi ne estrae un’altra. La rigira tra le mani più volte, legge avanti, legge dietro, legge il fondo, legge il tappo. Non è convinto. Riposa la bottiglia e si prende il mento tra le mani; medita per almeno cinque minuti, manco dovesse scegliere il vino per le nozze di Cana. Prende una terza bottiglia, legge e stavolta tocca anche la superficie di vetro, casomai ci fossero delle indicazioni scritte in Braille. Questa sembra convincerlo. La guarda in controluce. Lo scaffalista inizia a pensare che stia cercando la mappa del tesoro di capitan Kidd.

 

 

Oddio, chiede un consiglio. E non appena il sommelier sente su di sé lo sguardo di qualcuno, scatta la trappola. «Mi scusi, vorrei chiederle un consiglio». Sappiamo già che non sarà un consiglio, ché la sfinge in confronto ha una chiarezza elementare. «Sto cercando un vino da selvaggina». La commessa, che sa a malapena che gusto abbia la selvaggina, cerca di farsi una rapida idea su quale dei due vini che regge in mano sia il migliore. Ovviamente, non lo sa. Sarà quello più costoso, a questo punto. «Prenda un Selvarossa, le piacerà». «Ne è sicura?». No, a dire la verità per me potrebbe esserci del Tavernello nella bottiglia e io sarei felice e rubizza lo stesso. Ma nessuna commessa è mai sincera, mi dispiace per voi, è una postilla del contratto. Così la risposta obbligata è: «Certamente, io lo bevo spesso». «Ma io cercavo un vino fruttato ed elegante». «Da mangiare con la selvaggina?».

 

 

La lotta dialettica è finissima, l’addetta prende tempo, cercando di capire come possa un vino essere “elegante”. «Sì, per essere precisi cercavo un rosso con retrogusto di fiori di campo». E io che credevo che il vino si facesse con l’uva. Nel caso, qui fuori c’è un ampio prato tra il parcheggio e la tangenziale, posso provvedere se mi dà un attimo. Posa la bottiglia, evidentemente quella non era abbastanza fiorita. Ne estrae un’altra. «Oppure potrei optare per questo Chianti. Mi sfumerebbe il capriolo con il suo gusto di crosta di pane e lo esalterebbe con la sua rotondità». Stordita dallo sproloquio poetico-nonsense, la commessa si gioca la sua ultima carta. «Ma se invece le proponessi questo bianco?». Lo dice soltanto perché è l’ultima bottiglia rimasta, ma questo lui non lo sa. «Che mi sa dire del perlage?».

Che cos’è il perlage? All’ennesima metafora criptica, la commessa chiede sconsolata: «Cos’è il perlage?». Questo è il trionfo del degustatore, che non aspettava altro che renderci edotti su uno di questi termini. Cito testuali, il tono da lord inglese con le natiche strette mettetecelo voi: «L'insieme delle sfere di anidride carbonica prodotte da un vino spumante o da uno champagne quando viene stappata la bottiglia e il vino versato nel bicchiere: la finezza e la qualità del perlage sono elementi per la valutazione del pregio del prodotto». In soldoni, bolle. Su perlage, cari sommelier dei miei stivali, la commessa alza i tacchi e se ne va, anche leggermente “passita”.

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