Da Raffaello a Mantegna

I 10 quadri più belli di Bergamo

I 10 quadri più belli di Bergamo
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Un percorso tra i capolavori artistici di Bergamo, naturalmente partendo dalla Pinacoteca della Carrara, per scoprire poi chiese e cappelle in cui sono conservate opere di prestigio e grandi nomi di secoli di storia dell'arte. Sono dieci, che val la pena conoscere e ammirare.

 

Tre crocifissi, Vincenzo Foppa
(1450, Pinacoteca Carrara)

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Opera giovanile di uno dei grandi protagonisti del Rinascimento lombardo, il dipinto è un’immagine devozionale di straordinaria potenza, che pone davanti agli occhi del fedele la solitaria agonia di Cristo. L’arco trionfale funge da filtro distanziatore per attenuare il coinvolgimento emotivo e favorire un approccio anche intellettuale al significato della Passione. Un quadro in cui si respira per la prima volta in modo pieno la peculiarità del rinascimento lombardo, fatto di attenzione alle realtà è di capacità di cogliere il fattore atmosferico del paesaggio.

 

Madonna col Bambino, Andrea Mantegna
(1475, Pinacoteca Carrara)

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Dipinto da Mantegna subito dopo i lavori per la Camera degli Sposi a Mantova (1465-1474), il quadro si caratterizza per la forza quasi scultorea, delle figure e per la raffinatezza dell’esecuzione, che nel manto della Vergine combina il prezioso blu di lapislazzuli con l’oro a tratteggio. Le tonalità spente e polverose sono il risultato dell’adozione della tecnica della tempera, che Mantegna predilige e che utilizza stendendo sottili velature di colore su una finissima tela di lino. Energia e tenerezza convivono misteriosamente in questo capolavoro.

 

San Sebastiano, Raffaello
(1501, Pinacoteca Carrara)

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L’opera fu dipinta da Raffaello non ancora ventenne, ma si impone per una straordinaria finezza esecutiva e per la capacità quasi miracolosa di gradazione della luce, che avvolge la figura in un’atmosfera dolce e sognante. Fu realizzata per la devozione privata di un raffinato committente, e questo spiega l’interpretazione aristocratica dell’iconografia del santo, che tiene in mano la freccia simbolo del martirio. Straordinaria la luce soffusa del paesaggio, restituito dal pennello del ragazzo Raffaello con immensa liricità.

 

Madonna col Bambino, Tiziano
(1506, Pinacoteca Carrara)

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Il tramonto sullo sfondo sembra già degno dell'intuizione di un pittore impressionista. Questo è uno dei primi dipinti eseguiti da Tiziano e mostra come il giovane artista sviluppi le ricerche di Bellini e di Giorgione sulla forza espressiva del colore. Il gruppo della Madonna col Bambino è immerso in un vasto paesaggio naturale e presenta una nuova e sorprendente monumentalità, mentre una materia pittorica calda e fusa definisce le forme non tramite il disegno ma proprio attraverso l'uso del colore.

 

Pala di San Bernardino, Madonna del baldacchino, Lotto
(1521, Chiesa di San Bernardino in Pignolo)

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La chiesetta di San Bernardino in Pignolo era sede di una confraternita laica a cui partecipavano per lo più commercianti e artigiani. Loro finanziarono la grande pala d'altare, a cui Lotto lavorò contemporaneamente alla Pala di Santo Spirito, per l'omonima chiesa a poca distanza da San Bernardino, Maria col Bambino si trova infatti  su un alto trono tra santi, ma l'invenzione di Lotto sta nell'aver messo la coppia sacra in ombra, al di sotto di una tela verde tenuta sopra di essi, a mo' di tettoia, da quattro angeli, che volano disponendosi in arditi scorci, all'insegna di uno straordinario senso di movimento. Lo sfondo è un paesaggio aperto, appena visibile oltre un parapetto grigio, con il sole che sta tramontando a sinistra. Eccezionale il dettaglio dell'angelo ai piedi del trono, anche lui parzialmente in ombra, che si volta di scatto quasi a sorprendere il visitatore o devoto.

 

 Assunzione della Vergine, Girolamo Romanino
(1530, Sant'Alessandro in Colonna)

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La pala, che si trova nell’altare sinistro del transetto, rappresenta un’Assunzione: difficile non vederla, dato che è una tela alta quasi cinque metri e considerato che il Romanino è artista molto “chiassoso”, che quindi si fa facilmente notare. È un quadro assolutamente stupendo, imprevedibile e un po’ folle, come lo è spesso questo grande artista bresciano, così caparbiamente alternativo alla retorica della pittura rinascimentale. Da notare l’attenzione di Romanino alla situazione atmosferica: sembra di essere nel clima di una sera bagnata da un acquazzone, con le nuvole ancora gonfie di pioggia e il bel paesaggio prealpino tutto madido. Ma il sole ha fatto in tempo a rispuntare e la sua luce accende di un bel bagliore la tela, venendo da sinistra.

 

Ritratto di Gian Girolamo Grumelli, il Cavaliere in rosa, Giambattista Moroni
(1560, Palazzo Moroni)

17. Ritratto di Giovanni Gerolamo Grumelli

È uno dei più famosi ritratti della storia della pittura. Osservate i tessuti, dalla seta al velluto al broccato intessuto con fili d'argento, resi ognuno con una diversa consistenza tattile. Notate la finezza del rosa corallo perfettamente intonato per contrasto con il grigio dell'architettura di fondo. È soprattutto guardate la posa del personaggio: in questo quadro non c'è alcuna pompa magniloquente, ma anzi un velo prezioso di malinconia. Nel bassorilievo sotto la rappresentazione dell'episodio biblico del profeta Elia che ascende al cielo sul carro di fuoco e abbandona il suo mantello al successore Eliseo, compare infatti l'enigmatica scritta in spagnolo «Mas el caguero que el primero», «Meglio l'ultimo del primo». Un motto che andrebbe messo in relazione con la statua caduta dal piedistallo, i muri in rovina e la vegetazione che cresce selvaggia. Forse, chissà, un ammonimento morale. Certo una riflessione amara per un giovane di soli 24 anni.

 

Gloria di San Pietro, San Paolo e San Cristoforo, Gian Paolo Cavagna
(1607, Chiesa di Sant'Alessandro in Colonna)

DOPO IL RESTAURO. Gian Paolo Cavagna, Gloria dei Santi Pietro, Paolo e Cristoforo, 1607, olio su tela, cm 450 x 265. Bergamo, Basilica di S. Alessandro in Colonna. Foto Nello Camozzi

Cavagna nel 1607 dipinge quindi per la “sua” chiesa questa grande tela raffigurante la Gloria di San Pietro, San Paolo e San Cristoforo, con una scelta iconografica così inusuale da rendere quest’opera un unicum nella pittura sacra lombarda di primo Seicento. Il pittore infatti distende, sotto le nubi dei Santi che intercedono per la salute della città, un’ampia veduta panoramica di Bergamo, così fedele da diventare documento prezioso, una sorta di “fotografia” della città così come appariva nel Seicento. La veduta di Bergamo è un invito al visitatore a cimentarsi nella ricerca di similitudini e differenze, di edifici scomparsi e di nuove emergenze architettoniche: dal nuovo campanile della Basilica di Sant’Alessandro in Colonna a quello di Santa Maria Maggiore, da Porta San Giacomo al Monastero di S. Benedetto, dalla torre del Gombito un tempo merlata al tetto a punta dell’alto campanile del Duomo, dal Campanone al monastero di Rosate, dal castello di San Vigilio alle torri del colle di San Giovanni sul quale ora sorge il Seminario Vescovile.

 

Affreschi alla Cappella Colleoni, Giambattista Tiepolo
(1732, Cappella Colleoni)

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Nel tour ideale delle opere più belle conservate a Bergamo non si possono tralasciare questi straordinari affreschi lasciati dal maggiore artista del Settecento italiano. L'iconografia deriva dalla decisione di dedicare la cappella, oggi nota in tutto il mondo come Cappella Colleoni, ai Santi Bartolomeo, Marco e Giovanni. Le lunette del coro, raffiguranti San Marco Evangelista e il Martirio di San Bartolomeo, furono dipinte nel 1732, mentre l'anno successivo fu la volta delle "storie" del Battista, la Predica alle turbe, il Battesimo di Cristo e la Decollazione, che portano la data e la firma apposta negli stucchi in corrispondenza di una delle lunette. Come gli accade nelle opere migliori, Tiepolo con la sua pittura sembra quasi squarciare l'architettura e aprire spazi che si proiettano direttamente nel cielo esterno.

 

Ritratto della contessa Anastasia Spini, il Piccio
(1840, Pinacoteca Carrara)

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Questo dipinto è uno dei capolavori di Piccio e tra le immagini indimenticabili dell’Ottocento italiano. La contessa Anastasia Spini, appartenente a una famiglia della piccola nobiltà di provincia, siede comodamente su una poltroncina rivestita in pelle e tiene tra le dita una presa di tabacco da fiuto; sembra aver abbandonato la lettura del libro di preghiere appoggiato sul tavolo e ci osserva con uno sguardo rassegnato e mite che l’artista ritrae con un’impudenza disarmante.

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