Un turismo gradevole

Città Alta non è come Disneyland

Città Alta non è come Disneyland
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Ho passato anni a denunciare (con scarsissimo successo, ahimè) quanto nella nostra città, e parlo di cultura, andava a mio avviso stigmatizzato (scarso coordinamento, parrocchiette varie, mancanza di progettualità, proposte imbarazzanti, scarsa attenzione alla salvaguardia dei beni storico–ar tistici etc.) e ora mi ritrovo, e con piacere, a raccontare di una inattesa soddisfazione.

Il rischio Disneyland. Per chi, come la sottoscritta, prima per motivi scolastici e poi lavorativi, frequenta Città Alta c’è sempre stato il timore, più o meno dichiarato, che la parte più antica di Bergamo, complice il progressivo spopolamento, si potesse ridurre o a una sorta di “città fantasma” o, ancor peggio, a una città snaturata a uso e consumo del visitatore, un tesoro da depredare per quanto più possibile. Mi prefiguravo una città invasa dai mercatini illegali, da rivendite improvvisate di chincaglierie sui marciapiedi, con stranieri e italiani che vendono di tutto: vestiti pescati nei cassonetti, giochi di dubbia provenienza per bambini, alcolici, merci contraffatte, souvenir, borse, gadget, etc. C’è un termine di paragone che sovente si usa, quando si vuole segnalare l’eccessiva riduzione di una città d’arte, troppo imbalsamata, ingessata e bloccata nel suo aspetto di entità esclusivamente turistica nel senso peggiore del termine: Disneyland.

 

ROCCA (lato valli Bergamo alta e San Vigilio)

 

Il nesso tra cultura e territorio è, naturalmente, un tema nodale della politica culturale e conduce a una revisione degli indirizzi politici in questo settore. Il bene non deve soltanto essere tutelato e conservato, ma deve essere valorizzato come risorsa collettiva. Non credo che i centri storici debbano essere considerati e utilizzati come contenitori: vanno piuttosto riscoperti nella loro natura, nella loro bellezza artistica. L’incubo era, dunque, quello di vedere il cuore della nostra città occupato da casette e bancarelle con la inevitabile derubricazione del suo valore monumentale e l’impossibilità per l’occhio del visitatore di apprezzarne la bellezza. La cultura dell’effimero contro la cultura tout court.

 

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Per fortuna c'è l'Università. Ma, fortunatamente per Città Alta, c’era, e c’è, l’Università, scambio di saperi, risorse e capitale umano, come due parti di uno stesso magnete: Università e città condividono da molti anni una le sorti dell’altra, in un continuo e inevitabile confronto. Ho sempre pensato che se l’Università avesse abbandonato Città Alta sarebbe stata la fine: la comunità degli universitari, con il suo turnover continuo di facce e aspirazioni, costituisce un mondo a parte con dinamiche, usi e costumi propri: tutta la durata del lungo anno accademico, da fine settembre a metà luglio, le vie, le piazze, i vicoli brulicano di gente... ma poi arriva l’estate, a giugno finiscono le lezioni, le sessioni d’esame si esauriscono nelle prime settimane di luglio e la città lentamente si svuota della sua chiassosa popolazione giovanile. Questo fino a qualche anno fa: per gli studenti che se ne andavano d’estate, c’erano i turisti che arrivavano.

 

Bergamo_città_alta

 

Un turismo gentile. Ora qualcosa è certamente cambiato ed è una bella scoperta perché in qualsiasi mese dell’anno Città Alta è frequentata da un turismo “piacevole”: residenti e visitanti mi sembrano condividere gli aspetti più caratteristici del territorio, con positiva curiosità, oltre gli stereotipi e le forzature folkloristiche. È un turismo che salva le destinazioni da un modello consumistico, del tipo usa e getta, dannoso per il suo stesso futuro: passeggiate composte, sussurri in lingue straniere, scatti fotografici e momenti contemplativi. Forse i meriti di tutto questo vanno equamente ripartiti tra chi ha finalmente gestito una buona politica del turismo, gli abitanti e commercianti di Città Alta, coloro che ci lavorano e gli studenti. Senza dimenticare Ryanair che da tempo scommette sull'aeroporto di Orio al Serio, che occupa ormai stabilmente il terzo posto, per volumi di traffico, nella graduatoria degli scali nazionali.

 

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E, per concludere, chiedo che non me ne vogliano i Sanmarinesi, perché tanti altri potrebbero essere gli esempi: dal più volte denunciato abusivismo che impera per le strade della capitale (da Piazza di Spagna «trasformata in una casbah» a Trinità dei Monti ove «regna il degrado a cielo aperto» (F. Serrano in Italiapost, 10 ottobre 2016) a Firenze con «strade ridotte a un suk a cielo aperto, tra due ali di ambulanti illegali» (Corriere Fiorentino 30 settembre 2016). Abbiamo salvato Città Alta da questo rischio: passeggiando qui, sembra di essere ancora, e fortunatamente, in un paesino che vive con il gusto e la qualità dei buoni rapporti. Della salvaguardia parleremo in un’altra occasione.

 

*Docente di Storia dell’arte del XX secolo all’Università di Bergamo.

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