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Johnny Cattaneo, la mountain bike è prima di tutto fantasia e libertà

Johnny Cattaneo, la mountain bike è prima di tutto fantasia e libertà
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«Le avventure migliori, o le peggiori, le ho vissute dieci anni fa insieme a Marzio Deho. Canada. Montagne rocciose. Foreste piene di radici che vengono fuori dal terreno. Da una parte i top team attrezzati con bici che non avevamo mai visto in Europa neanche da lontano. E poi noi, io e Marzio, in due quasi allo sbaraglio. Dormivamo in una tenda piccola. Dal freddo che faceva la mattina ci cambiavamo dentro al sacco a pelo. Gli orsi erano un pericolo ogni santa notte. Ci andavo già da tempo in bici, ma quell’esperienza è stato l’inizio di tutto. Un battesimo. È lì che sono diventato un biker».

Libertà e fantasia su due ruote. Un vero biker lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia. Tutte cose che Johnny Cattaneo si tiene sotto quella scorza dura. È cominciata (l’8 marzo) la stagione della mountain bike, prima tappa in Guatemala e la Wilier Force di Cattaneo c’è. Per tutti quelli che la bici è solo spensieratezza da gita in campagna oppure roba per scalatori e velocisti, sappiate che c’è un mondo di pirati che le due ruote le usano per superare rocce, tronchi e foreste, per saltare radici grandi così, rotolare nel fango e sgommare sulla terra bruciata. Tu chiamala se vuoi mountain bike. Johnny preferisci chiamarla libertà: «Su strada l’ambiente è chiuso. Qui ci devi mettere la fantasia, devi trovare soluzioni non definite o schematiche. Per me questa è la vera libertà. Poter gestire, poter arrangiarti: una cosa che riassume tutto. Questo sport è molto bello. Cresci come persona e come uomo, fai esperienze di vita. Anche se non è sempre facile».

 

 

La squadra e gli obiettivi. La Wilier Force è un team nato nel 2015. Giovane, dinamico, competitivo. L’anno scorso per la parte biker sono arrivati Tony Longo e Johnny Cattaneo, capitani coraggiosi e un po’ corsari che subito hanno guidato la ciurma al successo. Tipo: una doppietta alla Bacialla Bike, un doppio podio ad Alassio e un secondo posto alla Vuelta Ibiza che grida ancora tremenda vendetta. «Quest’anno la vogliamo vincere - va avanti Johnny -, poi farò le gare in Belgio, e via fino al Mondiale di giugno. Il percorso in Germania mi si addice e quindi il primo grande obiettivo stagionale e quello. Il 2017 potrebbe essere il mio ultimo anno a livello agonistico, ma ci sto ancora pensando. Andrò avanti ancora una stagione, o forse no. Intanto, però, il calendario e fitto e le occasioni per centrare risultati non mancheranno: una gara a cui tengo e la Birkebeinerittet, in Norvegia, la marathon più partecipata d'Europa».

Traguardi, ambizioni, podi. I progetti di Cattaneo sono tanti. Ma certo quello del Mondiale è il più ambito. Dopo aver perso per una foratura la maglia di campione italiano, nel 2008 disputa il suo primo Mondiale. Un successo: è lui il primo italiano al traguardo. «Eravamo in Val di Sole. Fu una festa. C’erano anche i parenti, gli amici, i tifosi. Arrivai all’ottavo posto. Quest’anno vorrei fare il mio miglior mondiale e chiudere il cerchio che si era aperto durante quella stagione».

 

 

Un nome e la fatica. E del resto con quel nome da biker, Johnny è pronto a tutto. «Mio papà si chiama Elvis, mamma Ismeria. Poi ho una sorella che si chiama Moira. E va beh, c’è anche Roberto, mio fratello, ma lui è quello con il nome normale. Johnny mi piace, dà subito confidenza, vicinanza, nessuno mi chiama Cattaneo. I nonni andavano a ballare il rock nei ristoranti e nelle balere negli anni Sessanta. Neanche a dirlo erano fan di Elvis, degli Stati Uniti, di tutto quel periodo. Diciamo che i miei genitori hanno continuato la tradizione».

Ma per affrontare certe competizioni il nome non basta. Ci vogliono fegato e un pizzico di incoscienza. E poi resistenza, ardore, umiltà. Quando le gambe cominciano a fare male, bisogna tenere duro. E Johnny ha imparato come si fa. «La fatica è il massimo contatto che hai con il tuo corpo. Sotto l’acqua, con la fanghiglia che ti spezza le gambe, sotto il sole che picchia duro. Dunque ti assesti su una fatica sopportabile e vai. Il corpo ti dà il ritmo. Tieni il tuo massimo».

La natura. Mentre è circondato da grande, immensa bellezza. Più di altri sport, la bici ha questo di bello: il paesaggio, lo sfondo, le immagini che cambiano. La natura assorbe sempre tutto. Ogni cosa è illuminata e sulla moutain bike ancora di più: «È per quello che l’ho scelta. La natura è una componente fondamentale. Per esempio: durante un allenamento, siamo entrati in una piantagione di caffè. Mi sono fermato. Ho detto agli altri di andare avanti. Avevo bisogno di guardare, di stare lì. Il richiamo penso sia una cosa innata che matura con il tempo».

 

 

La famiglia e l'inizio. Ha imparato ad annusarla a Santa Brigida la natura, un puntino sulla mappa della Val Brembana, un paese di seicento abitanti che affaccia sui monti, posto ideale per prendere la bici: «Mio nonno ha fatto il corridore professionista in Francia. Papà ha sempre fatto l’amatore. In pratica sono cresciuto in mezzo alle biciclette. Da piccolino con un foglio di plastica mi costruivo una specie di tettuccio per quando pioveva forte, così in bici ci potevo andare lo stesso senza nemmeno bagnarmi». Poi Johnny diventa grande, qualche calcio al pallone, ma no, quella roba non fa per lui. L’atletica invece sì. «Anche in quella ci ho sempre messo tutto. E anche l’atletica era un modo per evadere, conoscere gente nuova, vedere posti diversi. Un’evasione rispetto al quotidiano. Poi un infortunio, lesione al quadricipite. Non ho mai recuperato fino in fondo. Così ho smesso di fare sport per un anno e mezzo. Cosa c’è dopo? Una vita comune. Amici, lavoro, discoteca. Le solite cose. Avevo 24 anni e mi sono stufato. Un giorno esco di casa e vado a comprarmi una bici pesantissima. A luglio mi faccio prestare una mountain bike e vado a fare una gara. Prima salita, scollino in testa. Foro in discesa. Ma le premesse erano buone perché andavo forte. Ho continuato».

Il futuro. In carriera Johnny ha conquistato settanta podi e dal 2006 è stabilmente con la Nazionale. Adesso Johnny ha 36 anni, «il carattere bergamasco del non mollare ce l’ho sempre», ma adesso il richiamo di casa si sente ogni giorno di più, sempre un po’ più forte a ogni anno che passa. Arriverà il tempo di scendere dalla bici. «Prima facevo l’idraulico. Ormai sono quindici anni che giro, vado, torno. Con il tempo inizi a pensare, a rifletterci su. Vedremo. Però da grande mi vedo con un lavoro normale, nel mio paesello, comincio a sentirne il richiamo. Ho una casa da finire, una famiglia da costruire». Quando sei in cima alla montagna, non guardare in basso: gli orizzonti sono la vista migliore.

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