Un libro la racconta

La casa del vescovo di Bergamo Da diciassette secoli sul Colle

La casa del vescovo di Bergamo Da diciassette secoli sul Colle
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Sono passati diciassette secoli, eppure il vescovo non se ne è mai andato dal colle. Ha avuto diverse abitazioni, ma sempre attorno alla piazza di Santa Maria Maggiore. Abitazioni scomparse, altre che ancora ci sono, ma hanno cambiato funzione. Edifici che si collegano alla storia della città e dei suoi cambiamenti. Il libro di don Bruno Caccia e di Paola Dolci, dedicato a La Casa del Vescovo, è l’occasione per andare a scoprire come si è trasformata la città nei secoli, e in particolare l’occasione per cercare di leggere il cambiamento intorno al suo centro monumentale. Le vicende della sede vescovile si intrecciano con la costruzione delle diverse cattedrali, di Santa Maria Maggiore, del Palazzo della Ragione e anche dei cambiamenti che hanno riguardato il tempietto di Santa Croce.

 

 

Ma indagando si scoprono anche le relazioni con l’acquedotto principale, con la vicinia di Antescolis... Scrivono gli autori in questo libro che viene presentato oggi, venerdì, alle 15.30 in Città Alta, nella sede della Curia vescovile: «L’insediamento del vescovo nel centro cittadino di Bergamo, in contemporanea e forse anche prima della caduta ufficiale dell’impero romano nell’anno 476, comporta un ruolo del vescovo che da supplente diventa sempre più gestore del potere civile giudiziario... Tra i marosi di tanti cambiamenti che hanno interessato Bergamo, dai Longobardi ai Franchi, dal Comune alla Signoria e alla dominazione Veneta, rimane stabile l’abitazione del vescovo, sempre al centro della vita cittadina».

Quattro abitazioni. La prima, ipotetica, doveva trovarsi accanto alla cattedrale di San Vincenzo, residenza che diventa la domus Sancti Vincenti: è probabile che si trovasse a nord della cattedrale, sull’attuale via Mario Lupo; una seconda domus dedicata a San Vincenzo dovette con probabilità sorgere dove oggi si trova l’ingresso del Museo del Cinquecento (in questo luogo vennero poi collocate le scuderie del vescovo); a questa domus, da una data che non si conosce e di certo fino al 1296, si affianca una domus sancti Alexandri; quando la casa di San Vincenzo andò distrutta, fu la casa di Sant’Alessandro a diventare sede del vescovo. E questo edificio lo si ammira ancora oggi: coincideva in parte con quella che chiamiamo Aula Picta, all’ingresso degli uffici della curia vescovile. La quarta sede del vescovo è quella attuale, costruita nel 1905.

 

 

Nel libro, don Bruno Caccia e Paola Dolci ci portano a spasso per la Città Alta come era nei secoli passati, ci conducono per esempio alla piazza di San Michele all’Arco (la chiesa che si trova accanto alla biblioteca Mai e che oggi funge da magazzino dei libri) che man mano si ingrandì verso sud, fino a formare l’attuale Piazza Vecchia, “Platea nova”, inaugurata il 27 maggio del 1402. Prima si trovava qui una stradina che collegava la piazzetta di San Michele alla piazza della cattedrale: questa area si sviluppò nel senso che conosciamo oggi a cominciare dalla prima costruzione della cattedrale, forse già nel IV secolo, e che testimonia «La precoce occupazione dei luoghi del potere romano, prima ancora della caduta ufficiale dell’impero... sintomo lampante del “potere” del Cristianesimo all’interno della comunità cittadina bergamasca. Fra le presenze più antiche, attorno alla casa del vescovo, c’è quello che oggi chiamiamo il tempio di Santa Croce accanto a Santa Maria Maggiore, che è stato oggetto di lavori e ricerche archeologiche in anni recenti. Le ricerche hanno condotto alla scoperta di un edificio preesistente, se ne vedono ancora le basi, “monumento di cui non si conosceva l’esistenza».

Una chiesa che precedette Santa Maria Maggiore? Ma è possibile che Santa Croce sia la ricostruzione di questa chiesetta, ricostruzione da parte del vescovo Cornaro nel 1561. «Lo sconosciuto edificio di cui sono state trovate le fondazioni, sarebbe l’antica Cappella di S. Croce di cui si hanno notizie almeno dall’anno 1133. Demolito nel 1187 per lasciare il posto alla basilica di Santa Maria Maggiore, è stato ignorato fino alla recente scoperta... L’edificio potrebbe essere del IX, X secolo o addirittura dell’ottavo secolo se coincidesse o si collegasse alla S. Maria Vetus di cui parla Taidone nell’anno 774. Tanti spunti. come quello che riguarda la nuova casa del vescovo, quella attuale, e la chiesa di San Biagio, indicata in mappe del 1819 e poi scomparsa. La si nota anche in un disegno del 1626, nel giardino del vescovo, con l’abside semicircolare a est e la facciata a ovest; la chiesa dopo il 1828 venne inserita nella casa Deleidi.

 

 

La casa nuova. Arriviamo alla casa nuova del vescovo, voluta da monsignor Radini Tedeschi, progettata dall’ingegner Cesare Nava. Radici Tedeschi decise la costruzione in quanto «Trovò la residenza vescovile così brutta, scomoda e insalubre, quale non si ha in nessuna città anche piccola d’Italia!», come scrisse il suo segretario, Angelo Roncalli. La casa inglobò quella dei Deleidi, con tanto di salone d’onore, l’attuale anticamera delle udienze vescovili, con quei begli affreschi del pittore Luigi Deleidi, detto il Nebbia. In realtà fu un ritorno, oltre che una trasformazione, la casa apparteneva in origine al vescovo che la cedette al sacerdote Pietro Deleidi nel 1828.

Il progetto Nava negli anni successivi venne modificato. Un cambiamento venne apportato nel 1935 per volontà del vescovo coadiutore Bernareggi e con progetto dell’ingegner Luigi Angelini. A partire dall’inizio del Novecento, il vescovo dai locali dove oggi si trovano gli uffici di Curia, si trasferì nel nuovo edificio. Lasciò anche quella che oggi chiamiamo Aula Picta, che pare fosse una sorta di sala del trono, dove nei tempi più antichi, il vescovo amministrava il suo potere. Perché, come scrivono i due autori: «Il Comune di Bergamo è nato all’ombra della cattedrale di San Vincenzo e del suo vescovo ereditandone il potere civile svolto, per supplenza, al venire meno del potere imperiale».

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