Stasera nella piazzetta della pinacoteca

Napoli, jazz, genialità e cabaret L’arte di Bollani sposa la Carrara

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Se non l’avete mai visto dal vivo, andateci. Anche se non vi piace il jazz. Se poi vi piace, meglio. E se l’avete già visto, lo potrete gustare in una cornice inedita che - esageriamo - varrebbe da sola il prezzo del biglietto. Anzi, lo varrebbe il quadro che si genera dall'insieme. Dopo aver inanellato il dj set di Elijah Wood, già Frodo nel Signore degli Anelli, e il live del pianista e cantautore Raphael Gualazzi – che col jazz ci va a braccetto -, la piazzetta dell’Accademia Carrara stasera pennella un altro evento di primo piano: c’è Stefano Bollani con la tournée del suo ultimo album, Napoli Trip, nell’unica data lombarda.

Bollani è uno spirito libero, capace di demolire con il sorriso le convenzioni musicali. Ha la spiccata capacità di essere dissacrante e iconoclasta. Geniale, teso all'improvvisazione, curiosissimo, onnivoro nella sua voracità. L'abbigliamento ha sempre quel tocco di eccentricità ridente, la postura dietro il pianoforte raramente è composta. Si alza spesso, infila una gamba sotto il sedere, gesticola, si accovaccia. Istrione, ai confini del cabaret arguto, a tratti. Ha fatto televisione con Arbore e più recentemente con Serena Dandini, infatti. Sa fare la showman. Ma senza mai togliere qualità all'esibizione: lo possono testimoniare i tanti che avranno avuto occasione di vederlo al Donizetti, nelle passate edizioni di Bergamo Jazz.

 

 

Gioioso, come la Napoli che tratteggia. Quando tocca la tastiera è felice, lo manifesta attraverso le sue note ora swinganti e ora concertistiche. Vola oltre la sfera musicale. Non riesce a contenersi, lui è nella musica che suona, gli vibra dentro. E con la sua energia trascina tutta la band, di primissimo livello. Ad accompagnarlo, sul palco, il quartetto jazz inedito con cui ha registrato l’album Napoli Trip: Daniele Sepe al sassofono e ai flauti, Nico Gori al clarinetto e Manu Katche alla batteria.

Il disco è un oggetto curioso e variegato: «Senza voci umane - ha raccontato Bollani durante la presentazione a Milano, lo scorso 31 maggio - a parte un mio piccolo intervento. Insomma, ho finito per registrare un disco su Frank Zappa senza chitarra e uno su Napoli senza cantante napoletano. Il mandolino? Quello c’è, in Reginella. Ma lo suona un brasiliano, Hamilton de Holanda». Le tracce sono sedici: tra queste, un Pino Daniele, Putesse essere allero, un Carosone, Caravan Petrol, «ed è stato lui a traghettarmi da ragazzino verso il jazz», annota Bollani. Poi un Raffaele Viviani, ‘O guappo ‘nnammurato. Molti gli originali made in Bollani, tra cui Maschere, Vicoli, Sette: è convinto che la città partenopea sia sorretta da un fondo sotterraneo, esoterico, che l’ha salvata in tutte le situazioni. «Napoli è un luogo che ciascuno crea con i propri pensieri: se cerchi il malamente quello troverai. Vale anche per il romanticismo o per la munnezza», ride.

Decisivo, per il progetto, l’apporto degli amici, dei complici. Di Daniele Sepe, innanzitutto, che napoletano lo è davvero. Con lui ha scelto i brani «e lui - chiarisce - mi ha seppellito di dischi e di spunti per l’ispirazione, da Scarlatti a Totò, dai Napoli Centrale alla meravigliosa Ria Rosa, cantante Anni Trenta piuttosto sguaiata». E di Jan Bang, dj e produttore norvegese, che ha lavorato in maniera tutta contemporanea su ’Nu quarto ‘e luna.

 

 

Chi è. Stefano Bollani è nato a Milano nel 1972, ma è cresciuto a Firenze. Da sempre concepisce la musica come un enorme gioco da re-inventare, in continuazione. Cerca stimoli ovunque, improvvisando a fianco di grandi artisti. Quando non suona, scrive libri e inventa spettacoli teatrali, mentre per la radio ha dato vita a Dottor Djembè, onnisciente musicologo che ha sparso per svariati anni semi di ironia e sarcasmo dai microfoni di RadioRai3.

Biglietti. Costano 25 euro in loco. Fino a ieri erano acquistabili in prevendita a 22 euro. Ingresso gratuito fino ai 10 anni. Il biglietto consente di visitare il museo la sera del concerto. Il concerto inizia alle 21.

La frase. L'ironia la fa spesso, Bollani, anche nei confronti dei colleghi. Quelli bravissimi ma un po' troppo seriosi, magari. Come Keith Jarret, che appena qualcuno prova a scattargli una foto dal pubblico (è successo anche a Bergamo, nel concerto del Lazzaretto del 2010, durante il bis) si alza e se ne va. Ad Umbria Jazz 2007, Bollani esordì con queste parole: «Se fate delle foto con il flash durante il concerto... i nostri tecnici lo comunicheranno a Keith Jarrett, che sta suonando in un altro luogo in Europa, e lui smetterà! Quindi un po' di rispetto, grazie».

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