C'è anche il treno "divoramigranti"

Il messicano che si finse un sedile e il dramma di chi sogna gli Usa

Il messicano che si finse un sedile e il dramma di chi sogna gli Usa
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Quando abbandonare il proprio Paese diventa una priorità, ma le circostanze non permettono di farlo in sicurezza e in condizioni umanamente accettabili, ogni espediente è buono per realizzare il proprio obiettivo. Minuti ragazzini venuti dall’Africa si sono chiusi in bagagli da viaggio, pur di raggiungere l’Europa e i propri familiari. Nel 2001, era il 7 giugno, un messicano di nome Enrique Aguilar Canchola si era invece travestito da sedile per i passeggeri. Letteralmente, si era cucito dentro il sedile: di lui si vedevano solo le gambe. Sperava nella disattenzione dei controlli, ma non ce l’ha fatta. È stato fermato a San Ysidro, in California, uno dei punti più “esposti” all’immigrazione clandestina messicana. Un poliziotto di guardia si è accorto dello strano sedile a due gambe, poi ha scoperto un volto e due braccia.

 

 

Drammatici casi al limite dell’incredibile. L’episodio aveva suscitato lo sconcerto di poliziotti e giornalisti, ma secondo i funzionari del Dipartimento per l’Immigrazione era sintomatico della crescita esponenziale di immigrati clandestini, disposti ad affrontare viaggi potenzialmente mortali pur di raggiungere gli Stati Uniti. Da decenni, molti messicani cercano di guadagnarsi l’entrata negli Usa nascondendosi in cisterne per il gas e in vani minuscoli che i trafficanti ricavano all’interno dei loro autotrasporti. «Apri un vano portaoggetti e trovi una faccia», ha affermato Robert Knox, ispettore. I luoghi per celare esseri umani si sono moltiplicati e sono diventati sempre più improbabili, sempre più pericolosi. Nel 2001, all’inizio del giugno, poliziotti di frontiera americani avevano trovato una madre con i suoi due figli, una bambina di nove anni e un bambino di cinque, dietro un muro appositamente inserito all’interno di un camion. La ragazzina aveva vomitato, il piccolo e la madre avevano atteso per novanta minuti nell’atroce caldo estivo. La donna aveva anche picchiato contro il muro, per attirare l’attenzione del conducente. Invano. Per Knox è stato il caso peggiore che abbia visto in più di dieci anni. Ma i nascondigli all’interno dei camion non sono gli unici modi con cui i migranti messicani cercano di espatriare.

 

 

Il treno "divoramigranti". Lo chiamano “La Bestia”. Ma è conosciuto anche come “il treno della morte”, “il divoramigranti”. È un treno merci che passa attraverso il Messico, da Sud a Nord. È l’estremo tentativo adottato da tanti latinoamericani diretti negli Stati Uniti. Moltissime sono le persone che salgono sul treno mentre questo è in corsa: bisogna essere veloci, e fortunati, per non finire tra le ruote, per non perdere un arto o la vita. Una volta a bordo, poi, bisogna affrontare minacce, adeguarsi alle estorsioni, pagare per avere un posto minuscolo all’interno dei vagoni sovraffollati, o sul tetto di lamiera. È la “quota di transito”. Talvolta i migranti vengono rapiti e usati per scopi criminali. Secondo la Commissione nazionale dei Diritti Umani (CNDH) ogni anno spariscono 20mila persone, dalla “Bestia”. Sono usate per trasportare droga all’interno del loro corpo, sono arruolate tra i narcos, donne e bambine sono ridotte in schiavitù. Chi si rifiuta di collaborare viene ucciso. Ruben Figueroa, attivista della Casa per migranti, ha dichiarato: «Non esistono garanzie, né un meccanismo che possa difendere il nostro lavoro e ancora meno l'integrità fisica e i diritti umani finché esiste la corruzione, la complicità e l'indifferenza delle istituzioni. La tragedia del migrante continua». E ha aggiunto: «I migranti significano soldi facili. L'Istituto Nazionale per la Migrazione (INM) invece di essere una risorsa è una persecuzione: la polizia si dedica allo strozzinaggio. Il migrante è una vittima dello Stato quanto del narcotraffico».

 

 

I bambini che nessuno vede. Non sono solo uomini e donne a partire. Ci sono anche bambini soli che si mettono in marcia. Di solito non sono fermati, perché i poliziotti ricevono laute “mance” per lasciarli andare. Gli unici adulti che li accompagnano sono i trafficanti. Partono da El Salvador, Honduras e Guatemala, ma nessuno sa quanti sono, perché contarli è praticamente impossibile. Sono gruppi piccoli e sparsi, fanno tappe brevi e si fermano spesso. «Quei 60mila, che raggiungono gli Stati Uniti, non viaggiano tutti insieme. Vanno poco a poco. Uno qui, l'altro là», dice il sacerdote Alejandro Solalinde. Non tutti i minori giungono a destinazione. Alcuni vengono fatti prigionieri, altri subiscono violenze sessuali, schiavitù, mutilazioni, prostituzione e abusi da parte delle autorità messicane.

I rifugi ci sono, ma non bastano. Di fronte all’indifferenza dello Stato, le associazioni umanitarie si sono attivate, creando delle vere e proprie reti di solidarietà. Negli ultimi anni sono sorte in tutto il Messico delle case per migranti, dei rifugi con mense e posti letto che offrono tutto il necessario per l’accoglienza, incluso un sostegno legale. Queste strutture, tuttavia, sono totalmente affidate alla buona volontà della popolazione civile e non possono fare fronte alle migliaia di persone che ogni giorno tentano la sorte. Il loro esempio è encomiabile e persino eroico, ma non può bastare: nel luglio 2015, il governo messicano ha finalmente deciso di fare qualcosa.

Frontera Sur, un cambiamento positivo. Lo scorso luglio il governo messicano ha avviato un programma, Frontera Sur, che riguarda soprattutto le zone del Chiapas, Tabasco, Oaxaca e Quintana Roo, tra le più povere del Paese. Il programma ha l’obiettivo di proteggere la vita dei migranti, garantire la loro sicurezza e combattere i gruppi criminali. È stata creata a questo scopo la tessera del Visitatore Regionale per i cittadini guatemaltechi e belizeni che transitano attraverso il Messico e sono stati rafforzati i controlli contro il traffico di esseri umani. Il governo ha inoltre attivato un sistema di cooperazione con le organizzazioni sociali e i rifugi per migranti. Non tutti però sono entusiasti di Frontera Sur. Alberto Xicoténcati dell'organizzazione Belén, Locanda del Migrante di Saltillo ha dichiarato: «Lontano dall'essere un piano per potenziare lo sviluppo della frontiera sud e la sicurezza, si tratta di un programma di mero contenimento migratorio».

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