Proteste in tutto il Paese

Grecia, dopo un anno è tutto uguale Ma l'Europa non intende far sconti

Grecia, dopo un anno è tutto uguale Ma l'Europa non intende far sconti
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É molto tempo che, su giornali e mass media in generale, non si sente più parlare della Grecia, dei suoi conti disastrati e dei rapporti con l'Unione europea. Non sarà mica che la situazione economica ellenica si sia improvvisamente riassestata? Naturalmente, no: ci vorranno decenni prima che la Grecia possa normalizzare definitivamente le proprie condizioni finanziarie, una meta le cui tappe, però, si fanno sempre più incerte e dibattute. I motivi sono anzitutto interni: il popolo sta dando vita, in questi giorni, a numerosi cortei e manifestazioni di protesta contro le misure prese dal governo, il quale tenta, per usare un'espressione particolarmente in voga circa questi temi, di fare i compiti a casa affidatigli dalla professoressa Europa.

 

Grecia, un anno dopo. Ci eravamo lasciati poco meno di un anno fa, con gli ultimi accordi firmati da Grecia e Ue-Fmi in seguito al referendum popolare ellenico e con un impellente carico di riforme economiche e sociali che Atene si era presa l'impegno di attuare per offrire almeno una briciola di garanzia su quei circa 205 miliardi di euro che finora le sono stati prestati. Passati una decina di mesi, la situazione è più o meno la stessa: politicamente parlando, il governo Tsipras è debole, con una maggioranza parlamentare piuttosto esigua e una popolarità che rasenta lo zero. In queste condizioni, portare a termini quei processi di riforma radicali chiesti dall'Unione europea è pressoché impossibile. In seconda battuta, la mancanza di risultati certamente non spinge i creditori internazionali a venire incontro alle esigenze, evidenti, di Atene in termini di una palesemente necessaria ristrutturazione del debito. La canonica goccia è colata nei giorni scorsi, con il varo di una serie di normative che hanno scatenato l'ira del popolo greco: riduzione delle pensioni più alte, fusione di diversi fondi assicurativi, aumento dei contributi e di varie imposte dirette; dietro a queste scelte, il disperato tentativo di rientrare nei parametri grazie ai quali Atene potrà accedere alla seconda tranche di aiuti europei, che ha scadenza in luglio. Conseguenza, più che ovvia, il riversarsi in strada di più di 20mila cittadini per protestare e l'indizione di uno sciopero generale di tre giorni.

 

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Palla all'Europa. Una situazione, dunque, che per forza di cose deve portare Bruxelles a riconsiderare le condizioni dei prestiti erogati alla Grecia, cosa di cui si parlerà questa settimana alla riunione fra i Ministri delle Finanze dei Paesi membri. Ma le posizioni, parrebbe, sono tutt'altro che accondiscendenti, perché anche qualora Tsipras riuscisse ad attuare le piccole riforme di questi giorni, è opinione diffusa (e francamente realistica) che la Grecia non riuscirà a garantire quell'avanzo primario del 3,5 percento entro il 2018 richiesto dall'Ue. Con “avanzo primario” si intende la percentuale di guadagno rispetto a quanto speso da uno Stato, una sorta di utile netto; ci vorrebbero, secondo l'Ue, una decina di miliardi, Tsipras può assicurarne meno di 6. Ecco perché i creditori della Grecia non sembra abbiano la minima intenzione di sedersi intorno ad un tavolo per ripensare ad una ristrutturazione del debito, e questo per due ordini di ragioni: in primo luogo, l'idea di un ulteriore perdita di denaro nel breve termine (ristrutturare il debito significa, in sostanza, allungare anche di decenni i tempi di restituzione) non va giù a nessuno, e in secondo luogo perché significherebbe creare un pericoloso precedente.

 

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L'alleato che non ti aspetti: il Fmi. In mezzo agli spietati aguzzini che la circondano, la Grecia, però, potrebbe aver trovato il più insperato dei soccorritori: il Fondo monetario internazionale. L'istituzione presieduta da Christine Lagarde, anch'essa peraltro creditrice di Atene, nonostante sia stata da sempre una delle principali sostenitrici del rigore e dei principi di austerità, è una delle pochissime e sagge voci che finalmente stanno cercando di far capire all'Ue che insistere nello spremere la Grecia sperando che continui a produrre succo è una manovra inutile se non controproducente, e che la ristrutturazione del debito è divenuta ormai imprescindibile. Secondo il Fmi, il 3,5 di avanzo primario, oltre ad essere irraggiungibile per la Grecia, è anche una cifra troppo esigua per garantire la sostenibilità del debito, e che allora piuttosto che continuare a combattere contro i mulini a vento tanto vale ripianificare tutto daccapo. La speranza è che questo sapiente monito venga ascoltato dall'Ue.

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