Già pronti 43 sportivi

La squadra degli atleti rifugiati che competerà alle Olimpiadi di Rio

La squadra degli atleti rifugiati che competerà alle Olimpiadi di Rio
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Le Olimpiadi di Rio in programma per il prossimo agosto saranno un piccolo passo storico. Per la prima volta, infatti, esisterà una squadra di rifugiati, che come una qualsiasi altra nazione competerà nelle varie discipline. L’annuncio è arrivato mercoledì direttamente dal Cio: gli atleti vivranno al Villaggio olimpico insieme agli altri 11mila sportivi impegnati nella manifestazione, saranno sostenuti nelle spese dal Comitato stesso e correranno sotto la bandiera dei cinque cerchi.

 

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«Vivranno al Villaggio». A spiegare come si configurerà questa singolare squadra è stato lo stesso Thomas Back, presidente del Cio: «Come ogni altro atleta dovranno conseguire i minimi», ha spiegato alla Gazzetta. «La solidarietà olimpica pagherà tutte le spese. Per loro ci saranno tecnici, dirigenti, medici, come in ogni altra squadra. Avranno gli stessi diritti e doveri degli altri. Vivranno al Villaggio. Marceranno sotto la bandiera del Cio e entreranno alla stadio per penultimi, prima del Brasile, nazione ospitante».

43 atleti arruolabili. Il Cio ha già annotato almeno 43 nomi di atleti che potrebbero far parte di questa rappresentativa, anche se poi ce ne saranno molti altri convocati per le loro nazioni. Alla fine, secondo Back, gli atleti parte della squadra rifugiati saranno dai 5 ai 10, quelli cioè che riusciranno a ottenere la qualificazione: «Ne daremo i nomi nel corso dell’Esecutivo del 5 giugno, a Losanna», continua Back. «Abbiamo fatto questa operazione perché è assolutamente necessario mandare un messaggio positivo verso chi sta vivendo una tragedia immensa».

 

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La storia di Saamiya. La scelta del Cio, per certi aspetti, suona anche come un piccolo omaggio a Saamiya Yusuf Omar, velocità somala classe 1991 morta nel 2012 nel Mediterraneo. La ragazza, cresciuta a Mogadiscio col mito della corsa e del mezzofondista Mo Farah, aveva partecipato nel 2008 alle Olimpiadi di Pechino, gareggiando nei 200 metri e ottenendo il suo record personale (ma il tempo ultimo di tutte le batterie). Nel 2012, col sogno di arrivare in Europa e trovare un nuovo allenatore, ha seguito il viaggio fatto da molti suoi connazionali, mettendosi in viaggio attraverso Etiopia, Sudan e Libia, per poi salire su un gommone che l’avrebbe portata in Italia. Ma è morta annegata, nel naufragio dell’imbarcazione diretta a Lampedusa. Alla sua storia è stato dedicato un libro, Non dirmi che hai paura.

 

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