Ci sono ben 22 moschee

Molenbeek, dove cova il terrorismo (e non sembra di essere in Europa)

Molenbeek, dove cova il terrorismo (e non sembra di essere in Europa)
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Per arrivarci a piedi dalla Grand Place, la piazza centrale di Bruxelles, ci vogliono solo 16 minuti. L’aspetto è quello di un quartiere senza nulla di particolare, con tasso di immigrazione nettamente sopra il resto della città. Molenbeek-Saint-Jean è uno dei 19 municipi della capitale belga, 6 chilometri quadrati per 96.436 abitanti. Numeri che fanno una densità doppia rispetto al resto della città: 16mila persone per km quadrato. In realtà di Molenbeek non ce n’è una sola ma tre: c’è quella dei grandi viali, con le file di case basse abitate dalla media borghesia; quella delle case mono-familiari dove la qualità della vita è comunque abbastanza alta. Infine c’è l’ultima parte, il quartiere arabo, che si trova attorno a Chaussée de Gand. Qui si entra in un mondo diverso: la maggior parte delle donne porta il velo e i clienti dei negozi locali di origine belga sono assolutamente rari.

 

 

C'era un mulino. Il nome fa capire che qui un tempo c’era un mulino a fianco ad una chiesa dedicata a San Giovanni. Oggi, però, più che chiese qui ci sono moschee, ben 22, attorno alle quali si raccoglie la numerosa comunità musulmana locale.

 

 

Il covo dei terroristi. Molenbeek ormai abbiamo imparato a conoscerlo tutti, visto che periodicamente sale alla ribalta della cronaca internazionale per le operazioni di polizia che tentano di stanare i terroristi jhadisti. È qui che si nascondevano due dei protagonisti degli attentati di Madrid, che hanno fatto 191 morti nel 2004. Qui si nascondeva la cellula di Verviers smantellata in occasione di un sanguinoso assalto della polizia nel gennaio 2005. È da qui che sono partiti i responsabili dell’attentato al Museo ebraico di Bruxelles nel maggio 2014. Da qui  si è mosso il commando dell’attacco fallito sul treno Bruxelles-Parigi ad agosto sempre 2015. Qui ha soggiornato a lungo uno dei due fratelli Kouachi, i killer di Charlie Hebdo. Ed è soprattutto qui che è stato preparato il colpo più clamoroso, gli attentati a catena che hanno terrorizzato Parigi il 13 novembre scorso. Qui ad esempio era stata noleggiata e poi parcheggiata per quattro giorni la Volkswagen Polo nera usata dal commando del Bataclan.

 

 

Una comunità chiusa in se stessa. «L’elenco delle persone che sono transitate per Molenbeek prima di essere coinvolte in attività terroristiche è impressionante», ha detto un responsabile della polizia belga ieri al termine dell’operazione che ha portato alla cattura di uno dei cervelli degli attentati parigini, Salah Abdeslam. «La religione, con la moschea e le lunghissime discussioni nelle sale da tè, è il collante di una comunità chiusa in se stessa», aveva raccontato settimane fa Daniele Mastrogiacomo, inviato di Repubblica. «Ma il tempo, gli imam che si sono alternati nelle piccole scuole coraniche e la guerra in Siria e in Iraq hanno esaltato gli animi. Molenbeek oggi è una polveriera. Una roccaforte dell’islam radicale». Dal punto di vista sociale tra queste strade non sembra di essere in Europa: a parte il vociare e gli odori propri delle capitali mediterranee e non di una città del nord Europa, c’è il fatto che il 30 per cento dei circa 100mila abitanti è giovane. La metà di loro sono disoccupati. In gran parte hanno abbandonato la scuola; circola molta droga, gioco d’azzardo, ci si arrangia con qualche rapina. Qui Salah, l’uomo più ricercato d’Europa, ha potuto stare coperto per mesi. Il vicensindaco musulmano di Molenbeek Ahmed el Khannouss, alla notizia si è detto sconvolto: «Mai più pensavamo che fosse ancora qui». Ma come sapevano bene i terroristi dell’Ira, non c’è posto migliore che nascondersi dove c’è tanta gente che ti vuole bene…

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