Giallo nel rapporto tra i due Paesi

Perché la Libia accusa l'Italia

Perché la Libia accusa l'Italia
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È giallo nei rapporti diplomatici tra Italia e Libia. Il governo di Tobruk, eletto democraticamente e riconosciuto nella comunità internazionale, ha accusato l’Italia di aver violato le acque territoriali libiche con tre navi da guerra. Una violazione inesistente, secondo il ministero della Difesa italiano, che non è bastata a evitare il decollo dei caccia libici contro la marina italiana per monitorarne le attività e una protesta formale al governo di Roma, con la promessa di usare ogni mezzo per difendere la sovranità libica su quelle acque. Da via XX settembre un comunicato ha fatto sapere che «la notizia diffusa stamane da fonti libiche circa la presenza ieri di tre navi italiane nelle acque territoriali libiche è falsa. Tutte le navi militari italiane presenti nel Mediterraneo operano in acque internazionali rispettando i limiti stabiliti dai trattati».

La notizia sui media libici. Sul Libya Herald domenica mattina è apparsa la notizia che tre vascelli della marina militare italiane erano entrati nelle acque territoriali presso le coste di Bengasi, a Daryana, a circa 55 km a est della città, e poi si sarebbero spostate verso Derna. Il governo di Tobruk ha denunciato il fatto come un «atto contrario a tutti gli accordi internazionali ratificati dall’Onu». Pronta la risposta della Difesa italiana, che ha negato tutto affermando che le navi erano non meno di 60/70 miglia dalla costa, ma il fatto nasconde una tensione ben più ampia tra i due Paesi.

Tensione per accordo su governo di unità nazionale. Sembra infatti che Tobruk non perdoni all’Italia la sua scelta di appoggiare il piano Onu di Bernardino Leon per il raggiungimento di un governo di unità nazionale. La bozza di accordo dovrebbe essere votata in giornata, ma è cosa già nota che non troverà il favore delle varie fazioni che si contendono il potere della Libia, perché sarebbe imposta dall’alto senza consultare i diretti interessati.

La lotta agli scafisti. Inoltre l’Italia, primo Paese dove approdano i migranti che salpano dalle coste libiche, è in prima linea nella lotta al traffico di esseri umani e nel salvataggio di quanti sono vittima di naufragi dei barconi della speranza. Un impegno che non è ben visto dal governo di Tobruk. Le navi che battono bandiera italiana e che sono state accusate di aver violato le acque territoriali libiche potrebbero essere parte della forza navale dell’Ue che contrasta gli scafisti.

Il precedente, da Tripoli. Tra Italia e Libia i rapporti oggi non sono più l’idillio di un tempo, e non è la prima volta che arrivano accuse al nostro governo. Già lo scorso mese di settembre il governo islamista di Tripoli, quello dei ribelli, puntava il dito contro l’Italia, colpevole di aver ucciso Salah Al-Maskhout, ex ufficiale dell'esercito di Gheddafi, considerato lo scafista numero uno di tutta la Libia. Anche in quell’occasione si dipanò un piccolo giallo poiché poche ore dopo la denuncia dell’uccisione una persona che disse di essere lo stesso Maskhout affermò al sito Migrant Reports che si era di fronte a uno scambio di identità. Al di là di ciò, l’agguato ci fu comunque, e di questo fu accusata l’Italia, anche se poi arrivò la smentita da parte della Farnesina.

I fatti del cimitero Hammangi. Che la tensione sia alta tra Libia e Italia lo dimostra il fatto che a Tripoli sono stati registrati atti vandalici al cimitero cattolico “Hammangi”, dove riposano i resti di 8mila italiani dai tempi dell’occupazione coloniale del Paese da parte dell’Italia. È la terza volta in meno di due anni che avvengono gesti simili: la prima volta era il gennaio 2014, e i responsabili erano alcuni nostalgici di Muammar Gheddafi. Il cimitero rappresenta un luogo importante per il nostro Paese. Sorge fuori dalle mura di Porta Gargaresc a Tripoli, a circa 2 chilometri dal centro città e venne donato nel 1922 agli italiani da un ricco commerciante maltese per la sepoltura dei cattolici. A custodirlo, sebbene il cimitero fosse formalmente amministrato dal Municipio di Tripoli, furono i Padri Francescani, che ne ebbero sempre particolare cura, tanto che nella cappella centrale del cimitero erano sepolti tutti i loro confratelli morti in Libia. La comunità libica del quartiere, poi, ha sempre protetto e controllato l’ingresso principale, anche se con l’inasprirsi della situazione della guerra libica anche Hammangi era diventato meta di vandali, di violenti e di integralisti. Fonti libiche sostengono che le ultime profanazioni risalgano a qualche giorno fa, ma la concomitanza con l’ira del governo di Tobruk non lascia presagire niente di buono.

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