L'addio al grande artista

Kounellis, quella volta a Bergamo

Kounellis, quella volta a Bergamo
Pubblicato:
Aggiornato:

Yannis Kounellis è stato uno dei grandi artisti del nostro tempo. Era greco, essendo nato al Pireo, ma naturalizzato italiano. E nel suo curriculum, fitto di mostre a livello internazionale, spiccava anche una data bergamasca di grande importanza e prestigio. Nel 2009 infatti Kounellis venne invitato per realizzare un’installazione negli ambienti suggestivi della chiesa sconsacrata di San Lupo. Fu un vero evento, organizzato dal Museo Bernareggi e realizzato in collaborazione con la Galleria Fumagalli: in contemporanea con l’installazione a San Lupo si tenne infatti anche una mostra negli spazi della galleria.

 

L'allestimento di Kounellis all'Oratorio di San Lupo.

 

A San Lupo Kounellis realizzò un’installazione secondo il suo tipico linguaggio: decine di cappotti, concepiti come vestigia della presenza umana, ciascuno dei quali accompagnato da un cappello e da un paio di scarpe, erano stati distesi a occupare l’intero pavimento, sotto il quale un tempo venivano sepolti i defunti. Al di sopra incombeva un'imponente croce in ferro che occupava in bilico lo spazio interno dell’edificio; una “croce di Sant’Andrea” che con la sua inclinazione richiamava le rappresentazioni della Via Crucis nell’iconografia secentesca. Kounellis era presente con la sua voce, perché, nella cripta sottostante, una televisione rimandava in loop una sua intervista realizzata proprio in quel luogo: seduto a un tavolino l’artista rispondeva alle domande di Simone Facchinetti, dando testimonianza della vastità d’orizzonti della sua visione dell’arte.

 

 

Kounellis ha sempre contaminato arte e teatro. Così anche nell’installazione per l’Oratorio di San Lupo ha fatto ricorso a una sorta di messa in scena, una rappresentazione i cui attori erano come fantasmi testimoniati da quei cappotti. Allo stesso modo ha incrociato un linguaggio molto contemporaneo, che discende dalla sua esperienza, con il movimento dell’arte povera, con una grande vocazione verso la grande arte recente e del passato. E aveva anche una capacità critica sul presente che sfuggiva da posizioni moralistiche e banali. «Bisogna di nuovo tornare a Picasso», diceva. «C’è una grandissima differenza tra una posizione artistica “alla moda” e Guernica. Forse il tempo “leggero” del Postmoderno serve proprio ad impedire che nasca un artista capace di creare Guernica. È la forza schiacciante della globalizzazione. Schiacciante e maliziosa. Una forza che non ha bisogno di Guernica, anzi la teme. La libertà fa paura. Quella libertà che aveva, ad esempio, Caravaggio».

 

 

E da laico («Sono laico e di chiesa», diceva spiritosamente di sé) non aveva nessun problema a lavorare per una committenza religiosa. È accaduto a Bergamo, a Milano e a Reggio Emilia. Una committenza che lui accettava con slancio, franchezza e molta libertà. «Di recente», aveva risposto a chi gli chiedeva conto dei suoi lavori come quelli a San Lupo, «ho sentito il Papa dichiarare che il Cristianesimo non è solo una religione spirituale, ma che “la puoi toccare”. Ecco la grande diversità. Una Madonna di Tiziano è anche una bella donna. È un’altra cosa, meno “scostante” di un’immagine bizantina (scheletrica, senza pelle). Per il cristiano, la pelle diventa questione di santità. Insomma, il rapporto con la materia (e con la divinità) passa attraverso la pelle. È un’esperienza sensoriale. Non si deve restare chiusi nel dogma di un neo-platonismo resuscitato. Il divino non è al di fuori dell’uomo. Ogni tanto bisogna dar ragione ai cattolici! Del resto, sono un greco poco ortodosso», diceva di sé. «Laico e di chiesa».

Seguici sui nostri canali