Quello che si sa finora di "Depo" il trevigliese arruolato coi curdi
Era in Kurdistan a portare dei medicinali. No, aveva scelto di partire per combattere, imbracciare il kalashnikov e fare il foreign fighters, combattendo l’Isis dal fronte curdo. Da quando è giunta notizia del ferimento di Alessandro De Ponti, il 23enne trevigliese ora in stato di fermo a Erbil, le notizie sul suo conto si sono inseguite di giorno in giorno, portando a dare sempre più corpo alla tesi che il ragazzo fosse volato in Medio Oriente proprio per combattere.
Le foto da Twitter. Le ultime foto emerse da internet paiono inequivocabili. In entrambe De Ponti è ritratto in tuta mimetica: capelli corti, barba evidente, sorriso e dita a comporre il simbolo della vittoria. E, in un’altra, il kalashnikov appoggiato a terra. Le immagini arrivano da Twitter e dai social network, proposte dagli account di guerriglieri curdi: tra chi combatte o simpatizza per l’Ypg, Unità di difesa del popolo curdo, sono sempre visti di buon occhio gli arrivi di nuovi foreign fighters, pronti a combattere per la causa del proprio popolo. Vengono definiti «i nostri eroi», appellativo che sarebbe toccato pure a Depo, assieme ad un nuovo nome che ha ricevuto quando è arrivato qui. Haval Aram, “compagno calmo”: così è stato ribattezzato dopo che a fine aprile il ragazzo aveva varcato il confine tra Turchia e Siria, entrando nella città di Kobane e cominciando qui l’addestramento. Prima le sue giornate si snodavano tra Treviglio, dove viveva e frequentava il collettivo “Tanaliberatutti”, e la bresciana, dove per due anni ha lavorato in un caseificio, prima di essere licenziato a causa della crisi economica. Era partito dicendo che andava via per un viaggio studio: da allora a casa sua nessuno aveva più saputo nulla di lui.
Viaggio da cooperante? Proprio gli amici del collettivo non credono alla scelta armata di Depo, giovane pacato e tranquillo. Piuttosto, sono sicuri che fosse partito per portare il proprio aiuto alla popolazione curda, martoriata da mesi di conflitto. Voleva portare medicinali e documentare quanto stava accadendo in quella zona del Medio Oriente: «Conosce la situazione politica, non aveva certo una preparazione di altro tipo. E poi non è il tipo», ricorda al Corriere un amico. «Quando venerdì ho saputo cosa gli era successo sono caduto dalle nuvole», spiega un altro amico. «Alessandro è ben informato sulla situazione di quella regione, sa che i curdi praticamente da soli combattono l’avanzata dell’Isis. Non può essere paragonato a chi, mosso da entusiasmo e begli ideali, è andato ad aiutare senza prima capire cosa stava accadendo», dice riferendosi chiaramente a Vanessa e Greta, le due cooperanti rapite e liberate in Siria dall’Isis. «Ci dispiace che qualcuno pensi che sia uno sprovveduto: era ben consapevole di come muoversi, avendo molto a cuore la sua missione di cooperante».
Il ferimento e la detenzione. Quanto al ferimento, ciò che si sa è che De Ponti è stato colpito giovedì, quando stava attraversando in maniera illegale il confine tra Siria e Iraq. Si ipotizza che Alessandro stesse tornando dalla regione siriana del Rojava verso l’Italia, ma che non sarebbe voluto passare dalla Turchia, dove avrebbe rischiato l’arresto: per questo tentava il viaggio passando dall’Iraq, ma in questo sconfinamento è rimasto ferito. Da allora è detenuto a Erbil, poiché trovato senza documenti regolari. «È lievemente ferito a una spalla, ma le sue condizioni di salute non destano preoccupazione», ha spiegato il capo dell’unità di crisi della Farnesina Claudio Taffuri. È trattenuto in un edificio istituzionale e non in un carcere: gli sarebbero garantiti cibo, acqua e assistenza sanitaria. E sono in corso le trattative per farlo tornare in Italia. Ciò che pare certo, è che “Depo” rischia di dover risarcire allo Stato italiano le eventuali spese sostenute per riscatto e spese di viaggio, sulla base della nuova legge approvata proprio in seguito al rapimento di Vanessa e Greta.