Il ventiduenne siculo-bergamasco

Il ragazzo che in via Sant'Orsola ha raccolto storie d'amore

Il ragazzo che in via Sant'Orsola ha raccolto storie d'amore
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La fotografia che lo ritrae insieme all’amica Samira mentre, in via Sant’Orsola, mette in mostra un cartello con la scritta «Ascolto storie d’amore (gratis)» ha fatto il giro delle testate locali. Ma chi è Mattia Musciumarra? E cosa ci faceva quel giorno in via sant’Orsola? Lo abbiamo chiesto a lui, il ragazzo «innamorato dell’amore», nato ad Alzano da famiglia siciliana il 5 maggio del 1996, una vita passata rimbalzando tra Sciacca (Agrigento), Bergamo e Palermo. Ascoltando (e raccontando) storie d’amore. Che «quando non sa di cosa parlare, parla di calcio».

Mattia, tutti hanno visto la tua foto, in tanti si sono chiesti cosa stessi facendo e perché. Ce lo racconti?
«Stavo ascoltando storie d’amore gratis, come recita il cartello. Ci siamo fermati qualche ora in via sant’Orsola e abbiamo ascoltato le persone che hanno voluto fermarsi. Una dozzina, circa. Un signore si è emozionato nel vederci e ha fatto girare la foto in questa occasione, ma è una cosa che ho fatto tante altre volte».

E in quelle tre o quattro ore cosa è successo? Chi si è fermato? Una storia che ricordi?
«In tanti si fermavano incuriositi e qualcuno ha preso coraggio. Un uomo di quarantotto anni ad esempio, uno dei primi ad essersi fermato, ci ha raccontato una storia bellissima sulla sua prima figlia. Ci ha detto che gli ha aperto gli occhi, che gli ha cambiato la vita. Ci ha colpito molto il modo in cui ce lo ha raccontato: ci siamo commossi anche noi. Una donna invece, anche lei sui cinquanta, ci ha raccontato di quando, alla nascita di sua figlia, il compagno l’ha abbandonata. Lui era un uomo ricco, e all’improvviso lei si è trovata senza tutti i mezzi di cui disponeva grazie al compagno e con una figlia da sfamare. Ci ha molto impressionato il racconto: una donna che, da un giorno all’altro, si scopre mamma single di una creatura appena nata. Nessuno te lo insegna».

Ma cosa spinge un uomo o una donna a venire a raccontare a te, perfetto sconosciuto, storie così personali?
«Lo sfogo è una necessità che forse sottovalutiamo: loro non potevano sapere se io li avrei potuti aiutare, non sapevano chi avrebbero potuto trovarsi di fronte, eppure si sono fermati solo per il bisogno di essere ascoltati e non giudicati. Sfogarsi, raccontarsi: alla fine siamo tutti sulla stessa barca, in cerca di una mano che ci recuperi».

E cosa spinge invece un ragazzo di ventidue anni come te a mettersi in strada ad ascoltare le storie degli altri?
«Io amo le storie. Trovo molto intrigante il fatto che ognuno di noi sia una storia. Ho pensato a quelle volte in cui io ho avuto bisogno di essere ascoltato, e a quanto beneficio sia riuscito a trarre dal raccontarmi a qualcuno. E a quante volte avrei voluto che qualcuno fosse per me quello che sto provando a essere per gli altri: una porta da sfondare, qualcuno con cui confrontarsi. Così, un giorno qualunque, mentre stavo scrivendo lo storyboard di un libro a cui sto lavorando, ho pensato di mettere un cartello: l’idea mi è venuta dopo aver visto una fotografia in cui un ragazzo aveva un cartello simile al mio. Lui le storie le ascoltava in cambio di un dollaro, io ho voluto farlo gratis. È stato così bello che la scorsa estate l’ho fatto per un mese di fila, tutti i giorni».

Quindi scrivi. Hai già pubblicato qualcosa? E hai in mente di scrivere qualcosa con queste storie che stai raccogliendo?
«Ho pubblicato un libro nel 2016, ne arriverà un secondo il 21 giugno, che si intitolerà Sarà una lunga estate, e sto lavorando ad un terzo, che non so quando potrebbe uscire. E sì, sto pensando di fare di queste storie materiale per un libro. Registro tutti quelli che si fermano a raccontare, nessuno mi ha mai negato il consenso: vorrei raccoglierne il più possibile, ma ci vorrà ancora un po’ di tempo».

Oggi scrivi libri e ascolti storie. Cosa vuoi fare “da grande”?
«Ovviamente il sogno è di poter fare lo scrittore a tempo pieno, ma sin da piccolo sono rimasto rapito dal giornalismo. In particolare il giornalismo sportivo».

Sportivo? Non ce lo saremmo mai aspettato.
«Il calcio è la cosa più importante tra le cose non importanti. In un certo senso è amore anche quello. Però anche il wrestling mi sta a cuore».

Ne hai raccontate dieci, ne hai lette cento e ne hai ascoltate mille: qual è però la storia d’amore perfetta?
«Quella in cui le imperfezioni si incastrano perfettamente. Innamorarsi di tutto ciò che non funziona nell’altro. Insomma, quello che mi piace immaginare che succeda nelle fiabe dopo la parola “fine”. Mi appassiona l’immagine delle sei di mattina, assonnati, mentre suona la sveglia e ci sono i figli da portare a scuola; l’amore nel quotidiano. Sì, lo so, sono un po’ diabete. Penso sempre a mia nonna: da quando è morto mio nonno, per lei non esiste comunque nient’altro che l’amore per lui. Lui è morto, ma il sentimento no: è affascinante, non credi? Io ho paura della morte: per questo credo nell’amore. L'amore è un gigantesco “sono felice che tu sia vivo”. Anche per questo scrivo: sperando che le parole possano trascendere la vita».

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