Si chiama Instid

Quelli che reinventano l'identità per gli Stati che l'hanno smarrita

Quelli che reinventano l'identità per gli Stati che l'hanno smarrita
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Cosa succederebbe se i produttori di souvenir non sapessero più cosa metterci sopra? Se non ci fossero la pizza, Venezia e il Colosseo, come rappresenteremmo il nostro Paese? E se non fosse l’Italia ma il Tatarstan a voler far parlare di sé?

Restituire identità ai Paesi. Per tutte queste ragioni nel 2008 Natasha e Alez Grand hanno fondato l’Instid, Institute for Identity. Lei bielorussa, lui russo, si son trovati a fare i conti con il crollo dell’Urss e la riedificazione identitaria delle loro nazioni d’origine. Così, dopo essersi trasferiti a Londra, hanno pensato di sfruttare la loro esperienza per aiutare altri Stati a ricostruire la propria immagine. Il loro obiettivo è quello di individuare e “nutrire” le caratteristiche intangibili che rendono un Paese unico e affascinante. Partendo da una riflessione su quello che costituisce l’identità di un Paese (una persona, un luogo, un evento, una tradizione) la si “rinnova” rendendola affascinante, aiutando le amministrazioni ad aumentarne la visibilità e il posizionamento economico, turistico e politico, per attirare investimenti, turisti e talenti. Un lavoro, quindi, che va ben al di là degli slogan e delle foto e per attrarre i turisti. Un piano diverso, insomma, rispetto a quello che aveva Erik il Rosso quando, intorno all’anno mille, chiamò un enorme blocco di ghiaccio Groenlandia per tentare i coloni.

 

 

Il marketing dei Paesi non è esattamente una novità: il primo a farne un vero e proprio lavoro fu, verso la fine del millennio, Simon Anholt, consulente nell’engagement civico e politico degli Stati, che, su richiesta del governo, diede forma all’identità statale croata aiutando il Paese ad entrare nell’Unione Europea. Poco dopo anche Georgia, Germania, Libia, Paraguay, l’Aia furono oggetto di grandi campagne di nation branding.

Rinascere dopo l'Urss. La storia della costruzione identitaria firmata Grand, invece, è iniziata poco dopo l’istituzione dell’Instid, con una prima campagna per Minsk, capitale della Bielorussia e città natale di Natasha. Negli anni successivi molte altre città e regioni hanno chiesto loro aiuto per scrollarsi di dosso il passato sovietico e costruirsi una nuova immagine, tanto che oggi nel portfolio dei Grand ci sono il Tatarstan e il Bashkortostan (due repubbliche della Federazione Russa), Yerevan (capitale dell’Armenia), Primorski Krai e Krasnodarsky Krai (costole della Federazione Russa rispettivamente in Estremo Oriente e nella zona caucasica), Irkutsk (città della Russia siberiana centrale) e la regione di Lipeck, nella Russia Europea. Così i Grand si sono trovati a lavorare con dipartimenti del turismo e con commissioni governative che hanno aiutato a riflettere su quello che rende le loro città, regioni e paesi unici. Un lavoro lungo, quasi psicologico e di “auto-conoscenza”, che spesso comporta anche una profonda riflessione valoriale.

 

Natasha Grand

 

Ma è meglio un buon governo. Trovata la soluzione alla questione della creazione dell’identità nazionale? Nonostante tutto, non si direbbe, visto che proprio Anholt, uno degli ideatori di questo particolare tipo di marketing, oggi ritiene che lo strumento migliore sia – guardacaso – il buon governo. Qualunque sia la soluzione, la questione dell’identità nazionale si fa sempre più rilevante perché sottoposta a pesanti pressioni da parte della globalizzazione da una parte e dai cambiamenti migratori dall’altra. Un business, quello della costruzione dell’identità di un paese, tanto importante da far nascere una rivista accademica sul tema, Place Branding and Public Diplomacy e l’International Place Branding Association, che a dicembre ha tenuto la seconda conferenza annuale.

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