Dalla regina Elisabetta

Mary Quant nominata Dama Tagliò la gonna e il mondo di prima

Mary Quant nominata Dama Tagliò la gonna e il mondo di prima
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A più di 50 anni dalla prima minigonna la regina Elisabetta ha nominato “dama” Mary Quant, colei che la inventò. E brava la nostra Elisabetta. André Courrèges, un sarto pirenaico (di Pau) che lavorava a Parigi e che aveva lanciato nello stesso anno - 1964 - gli abiti corti a trapezio, si provò a sostenere di averla creata lui, la minigonna. Monsieur Courrège, excusez-moi, ma non avete capito proprio niente: la minigonna non è una gonna corta (o cortissima). È un taglio dato al mondo di prima.

Courrège, che aveva lavorato in un primo tempo nell’atélier di Balenciaga, pensava ancora in termini di haute couture, di Alta Moda per persone ricche e in prevalenza attempate. La mini non c’entra niente con un clima simile. «Le vere creatrici della mini sono le ragazze, le stesse che si vedono per la strada», rispose la neo Lady al collega parigino invidioso del suo successo. Ed è vero: la mini è nata per strada. Era nell’aria e qualcuno (una donna, non un grande sarto) ne fiutò l’essenza camminando per la strada.

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Mary Quant, Novembre 1965.

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Mary Quant con le sue modelle.

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Ottobre 1967, Mary Quant al lavoro

Alexander Plunkett 1965
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Mary Quant nel 1965, con il marito Alexander Plunkett.

Per visualizzare meglio il colpo di forbice che squarciò il tempo non c’è modo migliore che mettere a confronto le mannequin che sfilavano per Dior con la ragazza (Twiggy, al secolo Lesley Hornby) che per prima indossò la minigonna per Bazaar, la boutique della Quant. C’è un abisso fra i due mondi. Perfino la bellissima Jean Shrimpton, una “modella” coetanea di Twiggy, appartiene al mondo precedente. Twiggy (grissino, in inglese) invece non è una mannequin: è una ragazza dei sobborghi di Londra - faceva la shampista prima di essere notata dal fotografo che la lanciò - che respirava Beatles e si incontrò con la minigonna come i quattro di Liverpool si sarebbero infilati nelle giacche prive di colletto di Pierre Cardin. Twiggy e Mary, in diverse foto, si assomigliano addirittura.

E in cosa consisteva, dunque, lo spirito nuovo del mondo che prese forma nei quattro di Liverpool e in questo capo d’abbigliamento irreversibile? Potremmo dire così: lo spirito di quegli anni consisteva in un modo di pensare il corpo che non aveva alcun precedente. In un modo “selvaggio” di pensare il rapporto fra il corpo e il suo rivestimento artificiale.

Ernestine Carter, un’importante giornalista di moda di quegli anni, ebbe a scrivere: «È stato dato a pochi fortunati di essere nati nel tempo giusto, nel posto giusto e con i talenti giusti. La moda di oggi è fatta da tre persone: Chanel, Dior e Mary Quant». Quei nomi erano l’indicazione di tre tempi che coesistevano nello stesso tempo: il passato portato alla perfezione, l’innovazione di genio, questa terza cosa imprevista e imprevedibile.

Il passato era costituito da un rapporto lungamente consolidato tra il corpo e il vestito che lo copriva evidenziandone allo stesso tempo i connotati sociali, l’appartenenza a una classe. L’alta moda femminile era - in questo senso - l’equivalente delle sgargianti uniformi maschili del tempo passato. A corte l’abito scollato coesisteva con la giacca degli Ussari della Guardia, con le spalline e i bottoni d’oro e perfino di diamante. Coco Chanel aveva introdotto, in questo connubio classico da alte sfere, l’impertinenza, lo scarto, un pizzico di sfida.

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La minigonna di Mary Quant.

Blondie 1983
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Blondie, 1983

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Jean Shrimpton, 1965

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Twiggy, la modella che sdoganò la mini negli anni '60.

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Brigitte Bardot, 1966

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Charlotte Rampling, 1967

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Jane Fonda, 1969

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Jackie Kennedy Onassis, 1969

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Kate Moss e Naomi Campbell, 1991

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Claudia Schiffer, 1995

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Sarah Jessica Parker, 2000

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Gwyneth Paltrow, 2009

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Blake Lively, 2011

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Diane Kruger, 2012

Quel mondo era stato bello. Aveva prodotto la propria perfezione e il proprio mercato. Poteva continuare a rigenerarsi restando però nel proprio ambito. Ma ora “siamo arrivati noi”. Noi che ci vestiamo quasi soltanto perché non possiamo andare in giro nudi: ma è al nostro corpo che teniamo, non al vestito. Non sfoggiamo abiti: ci sfoggiamo.

La minigonna entra così a far parte della moda solo perché al momento non esistevano altre categorie per collocarla. Ma non nasce dal seno della moda: nasce da una volontà di essere nel proprio corpo che non c’era mai stata prima. Non per niente il compagno di Mary Quant negli anni del loro vagare per il mondo era nipote di Sir Bertrand Russell, che aveva tentato un’esperienza educativa talmente rivoluzionaria da esser subito troncata dalle autorità.

E a voler essere originali si potrebbe aggiungere che in realtà un precedente ancor più precedente di quello di Russell c’era stato, e potrebbe essere identificato in quella Woodstock ante litteram che fu  l’esperienza della Reggenza Italiana del Carnaro, ossia quel prototipo di società libera (e anche libertina) che Gabriele D’Annunzio creò a Fiume al termine della I Guerra Mondiale. Filippo Tommaso Marinetti, l’inventore del Futurismo, definì i partecipanti a quel momento di anarchica follia “disertori in avanti”. Tanto in avanti che il re mandò la flotta per sloggiarli.

Mary Quant trovò una monarchia meno incline ai cannoneggiamenti. Ma anche lei abbandonò il tempo in cui la collocava l’anagrafe per tentare - o forse soltanto per affermare - quella fuga in avanti nel presente per darsi alla quale il mondo giovane di allora non aspettava altro che un segnale forte.

Quel che colpisce quando si torna a cinquant’anni fa, lo diciamo per coloro che non c’erano, non è tanto il fatto che una sarta ebbe l’idea di proporre un modello di gonna diverso dagli altri. È piuttosto che avvenne tutto come una fiammata improvvisa, che prese dentro come in un incendio altre proposte identicamente impreviste e imprevedibili (i Beatles, la nudità sulle spiagge, i capelli lunghi dei ragazzi) che ci avrebbero accompagnati per mezzo secolo senza quasi che ce ne accorgessimo. E fu bello così.

 

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