Terza nel gigante

Sofia, molto meglio che un sogno

Sofia, molto meglio che un sogno
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E adesso, signore e signori, madame e sponsor tecnici, programmi tv e rotocalchi patinati, ecco a voi: Sofia Goggia. Pensa te lo sport. Prima sei nel tritatutto del nulla, un personaggio buono per il fondo pagina. Poi di colpo sei sulle copertine di tutto il mondo. «Sì, però da Fazio ci va la Brignone», ci scherza su lei, la Sofi (come la chiama papà Ezio), la Super Goggia come la chiamiamo noi. Tranquilla Sofi: ora da Fazio ci vai di sicuro. Il bronzo vinto ai Mondiali di St Moritz è il confine che Sofia stava cercando di attraversare da sempre. Volenterosa, audace, tignosa. Ma poi al momento di quagliare era sempre un insuccesso. Colpa della neve, delle ginocchia fragili, dell’errorino che vanifica sempre tutto. Qualcosa è cambiato. «Che liberazione», ha detto lei all’arrivo del gigante. Che liberazione vedere quel sorriso felice.

 

https://youtu.be/I6nqzhFy15s

 

La storia di Sofia non è una storia avventurosa. Il papà la porta a sciare, a tre anni è presto perché all’epoca si pensa che faccia male alle anche. Lei piange, voglio farlo anche io, e a quattro è già sulle piste da sci che vola come un razzo. La storia di Sofia è una storia di resistenza. Quattro operazioni alle ginocchia, una vita da mediano. Le altre le guardava dal divano, mentre a lei toccavano le lacrime. Poi arriva il 2016: i podi, la meditazione, la consapevolezza. «Leggo - ha dichiarato a Repubblica -, faccio meditazione: una pratica molto autodidatta, che mi aiuta a guardarmi con distacco. Io sono molto irruente e istintiva, quando medito mi sento più centrata». Il suo allenatore una volta le ha detto: «Devi essere come l’acqua».

 

 

Scorrere nella vita di Sofia significa trovare le pietre, i sassi, gli ostacoli, ma poi tutto passa e anche le brutture sembrano ormai alle spalle. Ai Mondiali in Svizzera, dopo i podi in Coppa del Mondo, sembrava arrivato il momento di trionfare. Ma le prime gare sono il solito, fastidioso modo di rimpiangere la gloria. Nella combinata i sogni si impigliano al cancelletto. In discesa arriva un quarto posto che è un beffa. «L’ultima cartuccia», come l’ha definita lei, era il gigante. O la va o la spacca. A spaccare quel velo di amarezza ci ha pensato Sofia sciando con la passione. La notte dopo il terzo posto si è svegliata: «Poi al mattino a occhi chiusi ho messo la mano sinistra sul comodino: la medaglia c’era. Non ho sognato». Ma noi, che l’abbiamo vista esultare, sì.

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