Itinerari per l'estate

E a Barga ci siete mai stati?

E a Barga ci siete mai stati?
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E a Barga, ci siete mai stati? Saremmo tentati di pensare: negativo. Lo diciamo perché è facile incontrarci pullman di inglesi, ma turisti italiani se ne incontrano pochi da quelle parti - meravigliose, fra l’altro. Dunque: andiamo a Barga. Che si trova si trova in lucchesia. In Garfagnana, per la precisione. Google maps la dà a 4 ore da Bergamo utilizzando la Parma-La Spezia e poi la litoranea fino a Lucca. I più avventurosi potrebbero tuttavia decidere di raggiungerla da Modena, via Sassuolo, Montefiorino (famosa repubblica partigiana) e Piandelagotti, ossia attraversando l’appennino come faceva, a suo tempo, il Pascoli in carrozza quando veniva da Bologna. Ci vuole un’ora in più e nessun ospite a bordo che soffra di mal d’auto, ma è un viaggio che vale da solo la fatica - o il piacere, meglio.

 

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A Barga è tassativo arrivare poco prima del tramonto, perché il suo fascino è fondamentalmente notturno. Anche la poesia che molti avranno studiato a scuola - L’ora di Barga - del summenzionato Giovanni Pascoli, la fissa in quella luce. Che è la sua vera. Poi magari dormite lì e la mattina puntate la sveglia a bruzzico, come si dice da quelle parti, ossia al sorger del sole. E sentirete tanti ma tanti di quegli uccellini cantare che di sicuro non ve lo immaginate nemmeno. Anche la poesia parla degli strilli d'una cincia che rissa, ossi delle cinciallegre. È vero: ce ne sono un sacco.

 

 

Ma torniamo al motivo per cui sarebbe meglio arrivarci di sera. Perché si va in albergo, si cena da qualche parte - che lì va sempre bene - e poi, quando annotta, si prende a girare per le strade, per lo più deserte e - per grazia di Dio - scarsamente illuminate. Ed è allora che si comincia ad avvertire il silenzio lungo del tempo. La cosa bella di Barga sono i palazzi. Non palazzi famosi: palazzoni di gente ricca dei secoli passati. Case solide, con ornamenti discreti, e ora vuote - o almeno così sembra. Le case dei Bonanni, dei Salvi, dei Pancrazi, Turignoli, Angeli, Menchi, Ciarpi, Tallinucci, Orlandi, come ricorda il sito del comune. Se - al mare in Versilia - conoscete uno che di nome fa Turignoli, è sicuro che venga da Barga. Dove tutti questi signori andarono ad abitare quando, a seguito di patti stipulati con Firenze, Barga divenne una specie di isola felice: un comune libero da imposte più o meno come Montecarlo. Dice ancora il sito del comune (ma lo trovate ripetuto in tutti i dépliant che vi capitasse di tirar su):

Con lo sviluppo del porto franco di Livorno e la costruzione della nuova strada carrabile che, attraverso il piano di Gragno-Giuvicchia, metteva in comunicazione diretta il Castello [cioè Barga Alta] con il fondo valle, i commercianti, con pesanti carri trainati da buoi, andavano a Livorno ad approvvigionarsi di generi coloniali, sale e tessuti. Questi prodotti, trasportati a Barga, venivano venduti agli Estensi ed ai Lucchesi, che ne facevano contrabbando.

Andare fino Livorno (e tornare) al passo dei buoi doveva essere un’impresa: nessuno oggi resisterebbe. Ma se qualcuno, per provarci, volesse farsela a piedi, incontrerebbe tantissimi bei posti. Soprattutto Lucca. Farla in bici - sono meno di 100 km. - è un buon compromesso.

 

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Torniamo agli Estensi. Gli Estensi erano, come noto, signori di Ferrara, Reggio e Modena. Dunque i contrabbandieri percorrevano la strada di Montefiorino sopra ricordata. O forse ne preferivano altre più defilate, di cui magari parleremo in altre occasioni. Strade, comunque, non da percorrere in macchina.

I barghigiani c’erano abituati a vivere di esenzioni fiscali. Già alcuni secoli prima dei fatti ricordati, verso la metà del 1300, dopo aver battuto i Visconti grazie all’aiuto dei fiorentini, essi si ebbero, una dopo l’altra: l'esenzione della gabella sui contratti (imposta di registro), l’esenzione della tassa di Macina (tassa di famiglia), l’esenzione del prezzo generale dei sali, l’esenzione dell'appalto del tabacco (fino al 1807, nel Comune di Barga ne rimasero libere la coltivazione e  la fabbricazione), l’esenzione dell'appalto delle carte da gioco (fabbricazione di carte da gioco), l’esenzione dalle gabelle di Livorno per cui i Barghigiani potevano portare a Livorno i loro prodotti senza pagare dazio e ritirare da quel porto i vari generi senza pagare la dogana, l’esenzione della regalia della polvere da caccia, per cui sorsero nel Comune diverse fabbriche di polvere da sparo che, esportata e contrabbandata, dava un lucro non indifferente. Nel 1860 erano ancora presenti lungo il torrente Ania sei fabbriche di tale polvere. È sempre il sito del comune a farlo notare.

Se uno si mette bene in testa questo passato - tragicamente finito con l’arrivo dei Piemontesi tassatutto e l’Unità d’Italia - e gira per la città buia e silenziosa, gli viene addosso una sensazione di esilio che solo in altri rari posti si può provare. Un esilio dal tempo, non nello spazio. E pensa: ma perché mai ci dovevano capitare Cavour e Garibaldi, il ministro Sella e casa Savoia? Com’era bella la nostra cara Italia, prima della buriana sabaudo-massonica! Comunque, se, prima di cena, volete farvi un giretto tanto per dare un’occhiata, fermatevi magari al caffé Capretz, dove andava il Pascoli a sbronzarsi piangendo le sciagure della sua famiglia. È uno spazio vasto, nudo e - l’ultima volta che ci capitammo - abbastanza desolato. Ideale per lo spleen.

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A questo punto, se uno volesse ritrovare un po’ di buonumore, cosa dovrebbe fare, la mattina seguente? Potrebbe fare tante cose: andare a visitare il duomo, dalla facciata squadrata come una fortezza, e con un interno da rimanerci le ore per via dello spazio magico, oltre che per un pulpito che, a girargli intorno, vengono in mente tutti i vangeli dal primo capitolo di Matteo all’ultimo di Giovanni. Romanico, ovviamente. Il duomo, inoltre è in una posizione splendida, da cui si può spaziare con lo sguardo per mezza Garfagnana, fino al monte forato. Che è come l’arco famoso del deserto americano, ma più alto e più grande. Quando, in certe sere dell’anno, viene traforato dalla luce del tramonto è uno spettacolo.

Poi, già che ci siete, potreste anche andare nella vicina frazione di Castelvecchio e visitare la casa del Pascoli, identica, senza un ninnolo mosso, a com’era il giorno in cui il poeta la lasciò l’ultima volta. La sorella Maria - Mariù - ne fu la rigorosa custode. E noi - se riusciamo a superare una breve sensazione di follia incombente - possiamo esserle soltanto grati. La parte vecchia della casa è bellissima. C’è anche l’altana ricordata nella poesia Il libro. Quella nuova un po’ meno. D’altra parte, se uno è poeta non deve mica essere anche architetto, no?

 

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Immagine mostra. Le biblioteche del fanciullino - Giovanni Pasco
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