«È tanto che sei qui?». «Che te ne frega?»

Bergamo sprofonda in una sala slot

Bergamo sprofonda in una sala slot
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Esiste una Bergamo che non esiste. Che si nasconde nel corridoio nascosto di un’immensa sala da bingo. Che si rintana nei bar di quartiere, la notte, per poi tornare al canto del gallo a partecipare al ballo mascherato che li vuole padri, amici, direttori, operai. Oppure emarginati e basta. I locali dove si gioca sono pieni. Non c’è nulla che sia illegale. Nemmeno è una colpa: è la legge della giungla. «Giocare responsabilmente»: come a dire «uomo avvisato». Ma l’altro volto di questo locale pieno è un non-volto fatto di mille volti catatonici, statici, spenti, tesi e nervosi. Le grandi scene collettive del Giocatore di Dostevskij. Momenti di letteratura superlativa. Mai un giudizio, mai un commento del narratore. Polifonia e dialogismo. Ognuno con la sua prospettiva, ognuno con l’apologia del suo dolore. Ma Roulettenburg, immaginaria città tedesca del romanzo di Dostoevskij, è affascinante perché è fatta di parole, di descrizioni. La mimesis. Il piacere derivato dall’imitazione delle cose spiacevoli, diceva Aristotele. Ma il piacere si disintegra quando la realtà prende a schiaffi chi prova a tutti i costi a sublimarla.

Bergamo è anche Roulettenburg. Da qualche parte lo è anche fino alle 4 di mattina. Non si fanno nomi. Facciamo letteratura anche noi. Perché la realtà è troppo angosciante per riportarla tale e quale. Quando entri nella sala da gioco – chiamiamola, per oggi, “S”, tenendo presente che questa sala da gioco esiste, ha un altro nome e si trova nella nostra città – sembra di essere spettatori di una scena di caos ordinato. Come soldati del vizio, decine di uomini, poche donne, di ogni età, producono ognuno un ritmo regolare: moneta, bottone, leva, manata; moneta, bottone, leva, manata. Ne fissi uno: è regolare, un orecchiabile 4/4 occidentale; ne fissi due insieme: è poliritmia, ognuno con il suo ritmo personale, incompatibile con quello degli altri – che non esistono –  e forse con il resto del mondo. Perché giochi? «Non ne ho idea, lo faccio e basta». Quanto starai qui? «Fatti gli affari tuoi». Perché giochi? «Per divertirmi, non lo faccio spesso». Quanto spendi? «Per ora ho speso circa 200 euro, ma ne ho rivinti quasi 60». Da quanto sei qui? «Che ore sono?». Le 21. «Allora da tre ore». Credi di aver bisogno di aiuto? «Forse, probabile». Cosa hai fatto prima di entrare? «Niente, ho cercato parcheggio». Cosa pensavi mentre entravi? «Che domanda è?». Mi scusi.

 

 

La zona slot sembra una fabbrica, una catena di montaggio. Qualcuno si alterna, qualcuno esce a fumare. Qualcuno è giovane. Qualcuno è lì per gioco, tenta la fortuna, non è ludopatico. Qualcuno è meno giovane, non parla, si concentra. Qualcuno incoraggia la macchina. Qualcuno la minaccia. Qualcuno la insulta. C’è chi va al banco a cambiare le banconote. Ogni tanto si sente la pioggia di monete. Vittoria. Una sorta di campana: le teste degli altri meccanicamente si girano verso la macchinetta fortunata. Sembrano pecore al richiamo del pastore. Il locale comunque è bello, ordinato, elegante, sembra quasi la sala di un ristorante di lusso. C’è davvero tanta gente. Bergamo è una città morta, si dice spesso. Eppure questo posto è vivo come pochi altri. In questa stanza ci sono contemporaneamente tutti gli umori possibili, tutte le emozioni del mondo, migliaia di gesti, centinaia di storie ogni giorno, altrettante professioni ed estrazioni sociali, se ha ancora senso – e probabilmente lo ha – utilizzare quest’espressione. Una rappresentazione perfetta. Dostoevskij non ha di certo avuto difficoltà nel trovare un soggetto a cui ispirarsi, se Roulettenbourg era come questa “S”. Una comunità religiosa: centinaia di individui radicalmente diversi, un unico Dio. Sembra impossibile che questa sia Bergamo. Ma come, Bergamo è Città Alta, è il mais di Gandino, è la Valle Brembana, è la polenta, è un sacco di cose. Le “eccellenze del territorio” le chiamano.

Eppure questo locale funziona benissimo, il bar serve un drink dietro l’altro, qualcuno mangia pure, in molti tavoli si gioca serenamente a giochi d’azzardo “light”, in amicizia. Si gioca anche a bingo. Più eccellenza di così. E la sala slot. Si può dire che non sia un’eccellenza? È un mondo a parte. Un mondo in cui l’essere si sospende e si fonde con la sorte. Chissà se c’è coscienza in quei gesti. Viene anche voglia di fare un tentativo, in realtà. Anzi più di uno. Volendo c’è tempo fino alle 4 del mattino. Probabilmente a quell’ora la sala slot non sarà vuota. Il gestore di questo posto deve sentirsi un po’ come la sirena di una Wall Street in cui conta solo la sorte, in cui le abilità di broker non valgono nulla. Giocare o non giocare, questo è il problema: essere, qui dentro, è impossibile.

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