Il kamikaze Boris Johnson

Brexit: Londra taglia i ponti Chi è dentro è dentro, chi è fuori...

Brexit: Londra taglia i ponti Chi è dentro è dentro, chi è fuori...
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In modo un po’ hollywoodiano l’hanno ribattezzata “Operation Yellowhammer”. È la strategia con cui il kamikaze Boris Johnson, neo premier britannico, si prepara a rompere i ponti con l’Europa senza un accordo, il cosiddetto “no deal”. È un’operazione lacrime e sangue annunciata con il teatrale provvedimento firmato dal ministro per la Brexit Steve Barclay che ha cancellato l’atto che sanciva l’adozione delle leggi europee da parte della Gran Bretagna. Lunedì poi è arrivato un altro annuncio non meno allarmante: dal 1 novembre cambieranno le regole d’ingresso nel Paese. «La libera circolazione come esiste adesso finirà il 31 ottobre quando il Regno Unito lascerà l'Ue», ha detto il portavoce di Downing Street. La libertà di circolazione che è uno dei principi cardine dell’Unione Europea finirà immediatamente il giorno dopo la Brexit, senza che venga previsto nessun periodo di transizione.

 

 

È un annuncio che ha seminato il panico tra i 3,5 milioni di cittadini europei residenti Oltre Manica (tra questi ben settecentomila sono italiani), la maggioranza dei quali non ha ancora ottenuto il “settled status”, cioè il permesso di residenza permanente e quindi chi non ne è provvisto rischia, in caso di viaggio temporaneo fuori dal Paese, di non potervi fare ritorno. Per questo si è mobilitata The3Million, l’associazione che rappresenta i cittadini europei residenti in Gran Bretagna. «Che conseguenza avrebbe per i cittadini europei che vivono Oltre Manica quando ritornano da un viaggio estero? A un’infermiera europea non verrà permesso di rientrare nel Regno Unito dopo una vacanza», ha detto il portavoce dell’Associazione Nicolas Hutton. «Tutto questo significa caos e discriminazione». Oltretutto il “settled status” è uno status digitale, senza un documento che lo attesti e questo potrebbe creare ancora più confusione su tutti i varchi di frontiera.

 

 

È chiaro che quella di Boris Johnson è una mossa per cercare di forzare la mano all’Unione europea rispetto alle condizioni imposte per l’uscita del Paese; condizioni che non sono state accettate dal parlamento Britannico e che hanno causato la caduta della premier Theresa May. Johnson vuole fare la voce grossa, ma in realtà lo spazio di azione a sua disposizione è ristrettissimo. Gli scenari della Brexit evidenziati dallo stesso Cabinet Office britannico con un rapporto segreto sono apocalittici per il Paese: nei primi mesi si profilano carenza di cibo, medicinali e carburante. Secondo il dossier, l’85 per cento dei camion che passano per il Canale della Manica potrebbero non essere pronti per la dogana francese, cosa che causerebbe forti disagi nei porti, che durerebbero fino a tre mesi. Inoltre il confine tra le due Irlande diventerà un confine duro, con posti di blocco, che rallenteranno tutti i trasporti e riaccenderanno tensioni che erano state sopite in questi ultimi decenni. In particolare la fornitura di medicinali potrebbe poi essere suscettibile di gravi e lunghi ritardi. Johnson ha alzato la voce alla vigilia del viaggio che lo porterà a incontrare Emmanuel Macron e poi Angela Merkel, per capire se c’è margine per rivedere gli accordi. Difficile però che trovi spazio. Ma a Londra la sua maggioranza è risicatissima: ha un solo voto di margine. Quindi anche per il duro Johnson i tempi si fanno duri...

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