Dopo il voto di New York

A che punto sono le primarie Usa

A che punto sono le primarie Usa
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Questa notte si sono tenute le primarie statunitensi a New York, e i risultati sono stati piuttosto netti: Trump si conferma una volta ancora al primo posto fra i repubblicani, mentre la Clinton ha staccato di 15 punti Bernie Sanders. Quest'ultimo scontro, quello democratico, era considerato decisamente in bilico, con il vecchio socialista che pareva pronto a dare la spallata definitiva alle certezza di Hillary per la corsa alla nomination. Ma i pronostici sono stati clamorosamente smentiti. Ora più che mai, dunque, i numeri danno favoritissimi l'ex first lady e il vulcanico imprenditore newyorchese. Ma se nel primo caso, tutto sommato, la vittoria della Clinton è davvero ad un passo, in casa Gop le prospettive sono ben diverse: Trump, infatti, anche qualora dovesse continuare a vincere da qua fino alla convention di luglio, se non dovesse farlo in maniera schiacciante rischierebbe, paradossalmente, di non farcela pur con la maggioranza del consenso degli elettori.

 

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La situazione attuale, fra i democratici... Cominciando dalla sponda democratica, il voto di New York era particolarmente importante, oltre che per l'assegnazione di un cospicuo numero di delegati, anche per capire fino a che punto le strategie di Sanders potevano considerarsi vincenti. E, appunto, proprio quello di New York era il banco di prova perfetto, poiché città ricca di afroamericani e ispanici, ovvero una fetta di elettorato ben più vicina a Hillary che a lui. L'esito è stato chiaro, tanto quanto il fatto che gli ideali (più che le proposte) di Bernie non fanno breccia su una porzione e su categorie sufficientemente vaste di americani. Ora il divario fra i due comincia ad essere importante, e a meno di clamorosi capitomboli della Clinton negli Stati rimanenti, la partita democratica è pressoché chiusa.

 

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e fra i repubblicani. Il discorso, per quanto analogo nei numeri, è ben diverso nel Gop. Il successo di Trump a New York era sufficientemente preventivato, ma ci si aspettava anche che Ted Cruz andasse ben oltre lo striminzito terzo posto, alle spalle di John Kasich, arrestando in maniera forse irrimediabile la rimonta che sembrava poter compiere. Trump in vantaggio, dunque, e pure nettamente. Ma attenzione, perché c'è un elemento che disturberà i sonni di Donald da qui fino alla convention di luglio, un numero per la precisione: 1.237, ovvero il numero minimo di delegati che Trump deve riuscire ad ottenere in queste primarie per poter arrivare al momento del voto finale con la certezza della maggioranza assoluta, e quindi della nomination. Al momento, l'imprenditore newyorchese è a quota 844, e non sarà per nulla facile raggiungere il numero necessario. Se, dunque, si dovesse arrivare alla convention senza che nessuno dei candidati disponga della maggioranza assoluta, si dovrà operare una seconda votazione, in cui però i delegati non saranno più vincolati al nome per il quale sono lì. Si aprirebbe una fase di febbrili trattative e negoziati che, c'è da scommetterci, non premierebbe Donald. Forse addirittura nemmeno Cruz o Kasich (Mitt Romney? Paul Ryan?). Se Trump insomma non vuole trovarsi nella paradossale situazione di avere più delegati di tutti ma non essere eletto candidato ufficiale del Gop, deve sperare di schiacciare i suoi sfidanti nei prossimi appuntamenti elettorali: mica facile.

 

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Un'ottima analisi del New York Times. Nelle immediatamente successive al voto newyorchese, è uscito sul NYT un interessante editoriale firmato da Frank Bruni e titolato No Way to Elect a President, “Non è il modo di eleggere un Presidente”. Bruni sostiene che lo “spettacolo” (in senso assolutamente ironico) di queste primarie, ora che manca poco alla loro conclusione, non stia portando gli Stati Uniti da nessuna parte. Vieni citato un sondaggio, comparso nei giorni scorsi su NBC News e sul Wall Street Journal, che dimostrava come il 68 percento degli americani non vorrebbe mai e poi mai Trump Presidente, il 61 percento Cruz e il 58 percento la Clinton. Insomma, il popolo non è soddisfatto di nessuno dei candidati in lizza. Non che sia una novità che i candidati non soddisfino appieno i cittadini, scrive Bruni, ma ci sono alcuni elementi che portano a guardare a questa tornata con maggior pessimismo del solito. In primo luogo, queste primarie sono viste dagli elettori e trattate dai media come fossero “gare di atletica”: un grande e spettacolare show in cui dominano colpi di scena e gesti teatrali. Ma in cui di sostanziale c'è ben poco. Gli attuali candidati “amplificano i pregiudizi delle persone, aggravano il loro tribalismo e ampliano le linee di frattura”. Oltre ad un sistema elettorale che, fra Stati dal voto aperto o chiuso, caucus e margine di libertà dei delegati, permette ad un qualsiasi candidato di prendersi la nomination di uno dei due partiti anche con soli 10 milioni di voti a favore su 321 milioni di persone. Una quadro, insomma, desolante dal punto di vista dei contenuti e aggravato da regole che di democratico, ormai, hanno ben poco; una situazione che inevitabilmente costringe gli elettori a scegliere “il male minore, e non più il migliore fra i migliori”.

 

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