Il ricordo di chi lo amava

Francesco, che cercava il suo futuro lontano, dall'altro capo del mondo

Francesco, che cercava il suo futuro lontano, dall'altro capo del mondo
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Il 29 gennaio Francesco Marozzo, 25 anni, era partito per Perth, capitale dello Stato dell’Australia Occidentale e, due giorni dopo, era stato raggiunto dall’amico Sami Remadi, 23 anni, bergamasco di origine tunisina. I due, delusi dalle poche opportunità avute in Italia, avevano deciso di trasferirsi in Australia per trovare un’occupazione e lunedì 13 febbraio avrebbero dovuto cominciare a lavorare presso un’azienda agricola (una farm) nella campagna di Perth, per raccogliere le mele.

L'incidente mortale. Venerdì 10, però, mentre si recavano all’azienda per sbrigare le ultime formalità per l’assunzione, sono stati coinvolti in un terribile incidente con un furgone Toyota Hiace guidato da un diciottenne. Le dinamiche non sono ancora del tutto chiare e la polizia australiana sta indagando sull’accaduto, cercando di raccogliere quante più testimonianze possibili (anche tramite questo sito). Pare che il giovane si sia accorto troppo tardi di aver imboccato la corsia sbagliata della South West Highway. L’impatto frontale è stato fatale per Francesco, che lascia i genitori, Stefano Marozzo e Lorenza Benatti, e la sorella, Teresa, di 17 anni. Sami invece, che era al volante della Hyundai su cui i due amici viaggiavano, ha riportato delle ferite al volto, ed è stato operato e ricoverato per alcuni giorni al Royal Perth Hospital, dove nei giorni successivi l’ha raggiunto la mamma, Alessia Simeone. Non sono andati invece in Australia i genitori di Francesco, che hanno autorizzato proprio la madre di Sami al riconoscimento della salma. Il giovane, una volta dimesso, ha deciso di fermarsi a Perth e di lavorare in quell’azienda agricola, anche in memoria dell’amico Francesco.

 

 

Le parole dei genitori. «Non ci sono parole che ti possono restituire la serenità in questo momento, è vero. Ma qualcosa che ci aiuta comunque: è la vicinanza delle persone. Le persone che ci telefonano, che ci vengono a trovare. Gli amici di nostro figlio e di nostra figlia. I colleghi di lavoro. Gli studenti di mia moglie. I vicini di casa. Don Daniele e don Eliseo. In questo momento è l’unica consolazione, questo calore umano che in tanti ci trasmettono ci aiuta a restare in piedi e ad andare avanti». Stefano Marozzo è il papà di Francesco. Parla seduto al tavolo del soggiorno insieme a sua moglie, Lorenza, in questa casetta che sta in una diramazione della via Ghislandi. Sembra di essere sul bordo della città. Stefano e Lorenza e Teresa. Teresa è la sorella di Francesco, diciassette anni e una grande passione per la musica e per il canto. Dice Stefano: «Non abbiamo difficoltà a parlare di nostro figlio, soprattutto perché c’è un messaggio che io voglio trasmettere: cerchiamo di cambiare rotta, facciamo in modo che l’Italia torni a essere un Paese in grado di dare un futuro ai giovani. Nostro figlio Francesco era partito per l’Australia perché a Bergamo non trovava un lavoro stabile. Era un ragazzo di buona volontà, aveva fatto tante cose, tanti lavori, ma tutti precari. L’edicolante, il benzinaio, il pony pizza. Niente di sicuro, tutto a tempo determinato. Aveva preso anche la patente per il muletto. A un certo punto ha pensato di fare questo tentativo in Australia insieme a un amico. Aveva tutti i documenti in ordine, stava per cominciare il lavoro in una farm, una loro fattoria per la raccolta delle mele. Era il primo passo».

 

 

Papà Stefano e mamma Lorenza parlano in questo pomeriggio di febbraio, fuori la luce plumbea di un inverno che sta per andare via. Killu, il cane, passeggia nel soggiorno, è grosso e biondo, ha l’aria del pastore. Dice papà Stefano: «Il cane lo ha voluto lui, Francesco. Lo voleva da quando era piccolo e quattro anni e mezzo fa lo abbiamo accontentato. Io non ero proprio dell’idea di prendere un cane, ma adesso non ne farei mai a meno. Francesco lo aveva chiamato Killua che è un eroe di un manga giapponese che a lui piaceva tanto. Poi abbiamo finito per chiamarlo Killu, un po’ alla napoletana. Io sono meridionale, vengo dalla Calabria, le origini si sentono». Papà Stefano è impiegato all’ispettorato del lavoro, mamma Lorenza insegna al Romero di Albino, è docente di italiano.

 

 

Mamma Lorenza in questi giorni è a casa: «Devo stare qui ad aspettare che torni. Non posso andarmene. Devo stare qui. Se tutto va bene ritornerà martedì 28 febbraio, a Malpensa, verrà portato nella chiesetta dell’oratorio di Sant’Anna, qui in Borgo Palazzo, lui era molto legato all’oratorio. Il funerale lo faremo nella chiesa parrocchiale giovedì 2 marzo. Il consolato in Australia ci sta aiutando molto, sono tutti disponibili. Questa è l’unica cosa che ci consola. I miei colleghi, i miei studenti, i loro genitori... Sono stata in Comune, sono entrata all’anagrafe, la signora che sta lì alle informazioni quando ha capito si è alzata, mi ha detto: “Io non la conosco signora, ma ho letto la vostra storia” e mi ha abbracciata. Per fortuna ci sono tante persone così. Ci ha telefonato anche un allenatore dell’Olimpia che preparava Francesco quando era piccolo. Lui è malato, ma ha voluto lo stesso parlarci per starci vicino e per dirci quanto era bravo nostro figlio». Francesco era un ottimo portiere, ha vinto diversi trofei e, anche se militava nelle formazioni giovanili, di lui avevano già parlato i giornali locali, in termini lusinghieri. Poi si era fermato, complice la statura che si era bloccata a un metro e settantacinque centimetri. Ma lo sport era una delle sue grandi passioni, come la pizza (le ha dedicato anche una poesia), Fabrizio De André e il gioco degli scacchi. Nella sua camera ci sono le coppe vinte nei tornei di scacchi, anche a livello nazionale. [Continua]

 

Per leggere l'intervista completa e il ricordo degli amici,
rimandiamo a BergamoPost cartaceo, in edicola fino a venerdì.

 

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