Il voto del parlamento tedesco

Il genocidio degli armeni

Il genocidio degli armeni
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Un no, un astenuto e, per il resto, una maggioranza nettissima. Così il Bundestag tedesco ha votato la mozione che ha riconosciuto la natura di genocidio al massacro degli armeni avvenuto in Turchia nel 1915 ad opera dell'Impero Ottomano. Una presa di posizione chiarissima che rischia di mettere in discussione i rapporti con la Turchia, nonostante il presidente Lammert abbia esordito il suo discorso con un pacificante: «L’attuale governo turco non è responsabile degli eventi di allora, ma è corresponsabile del modo in cui verranno affrontati in futuro».

I turchi, che si rifiutano di riconoscere il genocidio, hanno reagito malissimo: al di là delle minacce ai parlamentari tedeschi dei giorni precedenti e al di là degli avvertimenti per via telefonica di Erdogan alla Merkel, l'ambasciatore turco è stato immediatamente richiamato, Erdogan stesso ha spiegato che la cosa avrà «serie conseguenze» sui rapporti tra le due nazioni, il vicepremier turco ha parlato di «errore storico» e «decisione nulla», mentre il ministro della giustizia non ha usato mezzi termini: «Prima bruci gli ebrei nei forni, poi ti alzi e accusi il popolo turco con calunnie di genocidio. Preoccupati della tua Storia».

Fa notare giustamente Il Post che in gioco c'è anche un'altra questione: «Lo scorso marzo, Turchia e Unione Europea avevano sottoscritto un accordo in base al quale la Turchia riceverà sei miliardi di euro e in cambio si impegnerà a ridurre il flusso e a riaccogliere nel proprio territorio i migranti arrivati in Grecia dopo il 20 marzo». Non è in discussione, pare, ma è evidente che la situazione potrebbe complicarsi.

 

Allora: c’è stato o non c’è stato un genocidio degli Armeni? Secondo i Turchi, che lo avrebbero messo in atto, non c’è stato. E non solo non c’è stato, ma sostenere il contrario può costare caro, da quelle parti. La magistratura turca punisce infatti con l'arresto e la reclusione fino a tre anni - per offesa alla Patria - chi ne ricordi in pubblico l’esistenza. Ne sa qualcosa lo scrittore Orhan Pamuk (Il museo dell’Innocenza, La valigia di mio padre, Istanbul, ...) che ne parlò in un’intervista a un giornale svizzero. Denunciato, solo in un secondo tempo ottenne il ritiro della querela. È andata peggio allo storico - anch’egli turco - Taner Akçam, il primo a parlare esplicitamente di genocidio. Arrestato nel 1976, condannato a 10 anni di reclusione, evade l’anno successivo e si rifugia in Germania. Da lì vola negli USA dove attualmente lavora presso lo Strassler Family Center for Holocaust and Genocide Studies della Clark University a Worcester, Massachusetts.

Dato che la legge è uguale per tutti, in Francia avviene esattamente il contrario: in prigione ci va chi nega che il genocidio degli armeni sia avvenuto. Si capisce così come mai i libri di storia dei due Paesi divergano sensibilmente sulla questione, che è una delle più spinose da affrontare nel corso delle trattative circa la possibile adesione della Turchia alla UE. È l’esistenza di tale trattativa - e il fair play mediatico che comporta - ad aver prodotto l’ovattato silenzio della stampa europea nei confronti del negazionismo turco, diversamente da quanto accadde per il negazionismo antisemitico dell’ex primo ministro iraniano Ahmadinejad.

E dunque - per tener separati i fatti dalle opinioni - qual è la nostra posizione circa quegli avvenimenti? Noi pensiamo che siano accaduti e che si tratti di genocidio.

Seconda questione: I fatti. Chi volesse saperne tutto quel che si può sapere clicchi pure qui [il sito del Museo Armeno sul Genocidio]. Noi possiamo solo tracciare in maniera sintetica il profilo di quella immane tragedia, che si è svolta in due atti.

 

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Atto I. Nell’Impero Ottomano. Anno 1890. 2 milioni di Armeni, nella stragrande maggioranza appartenenti alla Chiesa Apostolica Armena, cercano di ottenere l’indipendenza del loro paese dai turchi. Lo zar di Russia li sostiene, nell’intento di indebolire l’impero ottomano e nella speranza di impossessarsi finalmente di Istanbul (cosa che consentirebbe alla flotta imperiale di entrare indisturbata nel Mediterraneo). Il governo turco a sua volta, per affogare il Risorgimento armeno, dette licenza di uccidere alla minoranza curda - mussulmana - che occupava gli stessi territori. Contemporaneamente l’autorità centrale alzò le tasse agli Armeni che, esasperati, insorsero in armi. L’esercito governativo ebbe così l’occasione per intervenire e, con l’ausilio di formazioni paramilitari curde, bruciò numerosi villaggi armeni facendo strage della popolazione.

Due anni dopo i fatti (1896) un gruppetto di rivoluzionari armeni occupò la Banca Ottomana di Istanbul, probabilmente con la sola intenzione di richiamare l’opinione pubblica mondiale sulle condizioni del loro popolo. Risultato: 50 mila armeni uccisi per rappresaglia. Quel che si dice un pogrom. La parola genocidio non era stata ancora coniata, e comunque una strage, anche di enormi proporzioni come questa, non può - tecnicamente - essere definita un genocidio. Ci vuole dell’altro.

 

Anniversary of the mass killings of Armenians, in Istanbul

 

Atto II. E questo altro si presentò puntualmente anni dopo (1909) quando il governo detto dei Giovani Turchi ebbe timore che i soliti armeni si alleassero coi soliti russi per riprendere le ostilità contro la Sublime Porta (l’impero ottomano). Risultato di questo timore, che oggi si chiamerebbe “preventivo”: 30 mila armeni massacrati in Cilicia, una regione che non appartiene geograficamente all’Armenia, perché si trova nel sud della penisola anatolica, sul mare, al confine con la Siria. E qui si può ufficialmente iniziare a parlare di genocidio, perché obiettivo dell’azione era lo sterminio di una popolazione e non la conquista di un territorio.

1915, sei anni più tardi. All’inizio della I Guerra Mondiale battaglioni armeni dell'esercito zarista cominciarono a reclutare armeni che avevano in precedenza militato dall’altra parte. Un po’ come succede oggi nelle regioni orientali dell’Ucraina, dove i Russi reclutano militari appartenenti all’esercito di Kiev. Un’azione molto grave. Nel frattempo la Francia faceva arrivare aiuti in armi e in denaro alla resistenza armena - come oggi fanno gli USA e l’UE con gli Ucraini “buoni”, quelli che non vogliono finire in mani russe.

Risultato: tra san Giorgio (23 aprile) e san Marco (25 aprile) 1915 - esattamente cento anni fa - i Giovani Turchi prelevarono casa per casa l’élite intellettuale e politica armena di Istanbul. Oltre mille persone (giornalisti, scrittori, poeti, delegati al Parlamento, studiosi di diverse discipline), costrette a marciare verso l’interno dell’Anatolia, furono massacrate in itinere come fa oggi l’Isis con le popolazioni non sunnite che scaccia dalle loro terre. L’iniziativa fu talmente apprezzata dal governo centrale che si decise di ripeterla organizzando, negli anni successivi, una serie di “marce della morte” nelle quali persero la vita - si stima - 1.200.000 (un milioneduecentomila) Armeni che venivano fatti girare sotto scorta per giorni senz’acqua né cibo per le zone desertiche al centro della penisola, aspettando che morissero di fame, malattia, sfinimento o percosse. Quasi la metà di loro furono massacrati dalla milizia curda e dall'esercito ottomano che, probabilmente consapevole della propria inefficienza, chiese la supervisione dell’alleata Germania, che si mostrò ben lieta di prestare la propria assistenza. Chi si fosse domandato l’origine della pratica nazista di spostare da un campo all’altro gli Ebrei per farli morire di stenti nella neve e nel gelo adesso ha la risposta. Le fotografie dello scrittore pacifista e poeta tedesco Armin T. Wegner, sono lì a documentare quegli eventi. Questa (qui sotto) potrebbe bastare per tutte. Sul sito dell’Armenian Genocide Museum-Institute già richiamato, alla sezione Photos se ne trovano molte altre.

 

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Sulla faccenda esiste anche un libro stranissimo, Quattro anni sotto la mezzaluna, scritto da un personaggio difficilmente collocabile - Rafael de Nogales Méndez; un militare di professione, un mercenario, di origini venezuelane, ufficiale nell’esercito turco - che costituisce il diario preciso e circostanziato dei massacri. [Su es.scribd.com si può leggere l’originale in spagnolo: Cuatro años bajo la media luna].

Essendo gli interventi militari organizzati allo scopo specifico di azzerare la popolazione armena, diventa legittimo l’uso del termine “genocidio” nonostante il fatto - cui si appellano i negazionisti (in prevalenza nazionalisti e socialdemocratici del partito Repubblicano Turco) - che non tutti gli armeni cristiani siano stati sterminati.

Un episodio glorioso di questa epopea fu poi raccontato nel libro che la rese celebre almeno per qualche tempo: I quaranta giorni del Mussa Dagh, di Franz Werfel (pubblicato nel 1933), di cui abbiamo già parlato. Racconta di un piccolo gruppo di scampati alle marce della morte che riuscirono per sei settimane a resistere agli attacchi degli aguzzini sulla Montagna di Mosé (Turchia meridionale, al confine con la Siria) fino a quando furono presi a bordo e salvati da una nave francese di passaggio. Una specie di Vita e Destino di Vasilij Grossman, più modesto nelle dimensioni, pari ad esso nella capacità di mostrare quanto possano essere grandi gli uomini quando siano costretti a prendere in mano seriamente la sorte propria e quella del loro popolo. Ce n’è un ricordo in La masseria delle allodole bellissimo libro di Antonia Arslan, scrittrice e docente italiana il cui nome tradisce però chiaramente l’appartenenza a quel popolo martire.

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