Battuta la Russia

La triste storia dei tatari di Crimea vince e commuove l'Eurovision

La triste storia dei tatari di Crimea vince e commuove l'Eurovision
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Jamala ha 33 anni ed è una cantante ucraina di origine tatara. Jamala, in realtà, non si chiama Jamala, ma Susána Alímivna Džamaladínova. Jamala è il soprannome che ha creato dal diminutivo del suo cognome in grafia anglosassone.

Jamala e la vittoria. Jamala è figlia di un direttore d’orchestra tataro di Crimea e di una pianista armena del Nagorno Karabakh. È nata nel Kirghizistan sovietico, perché la famiglia paterna (a esser precisi, la bisnonna di Jamala) è stata vittima della Sürgünlik, la deportazione dei tatari di Crimea attuata da Stalin nel 1944. In Crimea, poi, Jamala è tornata nel 1989, e i suoi genitori, per poter vivere lì, hanno dovuto chiedere temporaneamente il divorzio, cosicché fosse la mamma, di origini non tatare, ad acquistare una casa.

 

 

Jamala è figlia di musicisti, quindi. E il suo nome-cognome è tataro, della Crimea. Perciò canta, da subito, fin da piccola, musica folk in lingua tatara. Studia piano e poi canto e opera lirica a Sinferopoli e a Kiev. Si sente. Cioè, per chi l’ha ascoltata per la prima volta all’Eurovision Song Contest a Stoccolma qualche giorno fa, la sua preparazione e la sua storia si sentono. Tutte. A partire dalla parte più pop della canzone fino al vocalizzo-lamento finale, da pelle d’oca. La canzone, comunque, si intitola 1944 (l’abbiamo appena scritto, l’anno della deportazione). È ovviamente un brano politico – strano l’abbiano ammesso in gara – e, dopo una selezione nazionale, è arrivato a guadagnarsi il primo posto del concorso internazionale. Cioè, ha vinto. Uno schiaffo alla Russia, data peraltro per favorita con una canzone rock-pop orecchiabilissima e che – su alcuni dei suoi media nazionali – ha già chiesto l’annullamento la vittoria.

Sweden Eurovision Song Competition
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(ANSA/AP Photo/Martin Meissner)

Jamala
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(Maja Suslin/TT News Agency via AP) SWEDEN OUT

Jamala
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Jamala
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(Maja Suslin/TT News Agency via AP) SWEDEN OUT

A decretare il successo di sabato, comunque, è stato innanzitutto il pubblico, il cui voto, per la prima volta, ha pareggiato in valore quello della giuria. Lei, ovviamente, non sa come esprimere la sua felicità: «1944 è una canzone che sono felice abbia colpito il pubblico. Vuol dire che è stata capita». Poi dall’inglese passa in fretta alla sua lingua: «Non ho le parole, non le so tradurre per un'emozione completamente indescrivibile. Speravo di arrivare al cuore delle persone parlando con sincerità. Ce l’ho fatta».

La deportazione dei tatari di Crimea. In lingua tatara la deportazione ha un nome apposito, si chiama qırım tatarları sörgene. Fu organizzata per ordine di Stalin nel 1944 come punizione collettiva per il presunto collaborazionismo con il regime nazista della Reichskommissariat Ukraine (l’amministrazione civile dell’Ucraina tra ‘41 e ’45, durante l’Occupazione Tedesca). La deportazione iniziò il 18 maggio in tutte le località abitate dai crimeani. Più di 32mila truppe russe vi presero parte, per deportare 193.865 tatari, 151.136 dei quali verso la RSS Uzbeka e gli altri verso la RSSA dei Mari, la RSS Kazaka. Da maggio a novembre, più di 10mila tatari morirono di fame in Uzbekistan (se si fanno i conti, il 7 percento dei deportati) e 30mila (il 20 percento) morirono in esilio nel primo anno e mezzo. Questo secondo i numeri russi; i tatari dicono che quel 20 percento è in realtà un 46 percento. E chiedono che per quella deportazione si riconosca il nome di genocidio.

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Ukraine Eurovision Song Contest
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(ANSA/AP Photo/Martin Meissner)

Chi sono i tatari di Crimea. I tatari sono originari della penisola russa del Mar Nero, ma parlano un idioma appartenente al gruppo delle lingue turche. Quasi tutti abitano, nonostante la deportazione, ancora in Crimea (se ne contano 260mila) e la loro religione è prevalentemente musulmana sunnita. Discendenti di antiche e gloriose etnie che approdarono qui nei loro traffici e nelle loro conquiste, i tatari ebbero uno Stato fiorente, il Canato di Crimea, per più di tre secoli, dal 1441 al 1783, terra di letteratura e di economia (di guerra) florida, quasi sempre alleata o nell’orbita di controllo dell’Impero Ottomano. Diventarono russi senza volerlo nel 1783, dopo che gli Ottomani furono sconfitti. Iniziò così un’epoca che chiamarono «il secolo nero», fatta di oppressioni culturali ed espropriazioni e angherie da parte dei russi. Tanti se ne andarono. E da un milione si arrivò al numero di oggi. Cercarono di ribellarsi sull’onda della rivoluzione d’ottobre, ma finì male. E nel ’21, dopo un biennio di carestia che li decimò, furono annessi alla Federazione Russa come Repubblica Socialista Sovietica Autonomia di Crimea. Forse anche per questo, per tutto questo odio cresciuto nei secoli, accolsero come liberatori i nazisti nel ’41. La pagarono cara, comunque, con quel genocidio. E poterono tornare in patria solo nel 1989. Quando ci tornò Jamala, appunto. Che poi cantò questa canzone.

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