Si fa chiamare "sorella Rim"

Meriem, la 19enne jihadista che rimpiange l’Italia e chiede aiuto

Meriem, la 19enne jihadista che rimpiange l’Italia e chiede aiuto
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Due settimane fa, su SkyTg24, è andata in onda un’inchiesta di Vice in cui si raccontava la storia di Meriem Rehaily, una giovane studentessa 19enne residente ad Arzergrande (Padova), fuggita dall’Italia sette mesi fa. Meta finale del suo viaggio, secondo le autorità italiane, la Siria, dove la ragazza si sarebbe arruolata nelle fila dell’Isis.

 

 

Il reportage di Vice racconta, attraverso le parole del padre di Meriem, Roudani, lo sgomento e il dolore per la fuga della giovane, in particolare quando ha appreso che si sarebbe arruolata nel Califfato. Ma anche la rabbia e la paura della comunità di Arzergrande, divisa tra chi ha deciso di sostenere moralmente una famiglia distrutta dal dolore e chi, invece, s’è schierato contro di essa e, più in generale, contro tutta la comunità islamica presente sul territorio cittadino. Ora si aggiunge un nuovo capitolo a questa triste storia: secondo quanto riferito da Il Gazzettino, Meriem sarebbe disperata e avrebbe contattato alcuni parenti per chiedere aiuto per tornare in Italia.

 

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[Una manifestazione contro l'Isis ad Arzergrande.
Il secondo da destra è Roudani, padre di Meriem. Vicino a lui la giornalista di Vice

 

C'era una volta Meriem, ora "sorella Rim". Una ragazza normale, ben integrata nella comunità di Arzergrande; in realtà le indagini compiute dagli inquirenti nei giorni immediatamente successivi alla sua scomparsa, avvenuta nel luglio 2015, hanno tratteggiato un profilo ben diverso da quello della bella e brava studentessa di quarta superiore. Sebbene non avesse mai frequentato assiduamente la comunità islamica locale e la moschea, l’analisi dell’hard disk del suo computer racconta come Meriem, sul web, si fosse ribattezzata “sorella Rim, soldato dell'esercito informatico” e come fosse un’assidua frequentatrice di siti che inneggiano alla jihad. Proprio in questa zona d’ombra del web, la 19enne sarebbe entrata in contatto con un misterioso reclutatore del Califfato. Una passione che Meriem ha sempre tenuto nascosta sia alla famiglia che alle sue amiche più strette. I tabulati del suo telefono testimoniano chiamate, sia in entrata che in uscita, da un ripetitore che si trova negli Stati Uniti, sebbene all’epoca si trovasse ancora nella sua modesta abitazione della campagna padovana: qualcuno aveva dunque provveduto a rendere il suo smartphone impermeabile a qualsiasi tipo di intercettazione.

Nei mesi precedenti alla partenza per la Siria, Meriem avrebbe redatto anche una “killing list” jihadista, con dati anagrafici, numeri di telefono e indirizzi di casa di dieci appartenenti alle forze dell'ordine «da uccidere». La 19enne, inoltre, avrebbe fornito al suo reclutatore i numeri di telefono di diversi suoi coetanei, come dimostrerebbe la testimonianza di un’amica della ragazza, la quale ha raccontato agli inquirenti di essere stata contattata via WhatsApp da una persona che le avrebbe inviato una foto con un uomo che baciava una bandiera nera dell'Isis e la frase: “Gli alleati sono diventati un Paese”.

 

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[La casa di Meriem ad Arzergrande]

 

Il pentimento. Per mesi i familiari di Meriem non hanno avuto sue notizie. Davanti alle telecamere di Vice, il padre della giovane ha raccontato di sperare ogni giorno di ricevere una telefonata o un messaggio da Meriem. Poi, però, qualcosa è successo: un mese fa i Ros hanno intercettato una telefonata partita da un telefonino collegato a Meriem (costantemente tracciato in questi mesi) e diretta a un parente della giovane. In questi pochi secondi di telefonata, la 19enne ha esposto la volontà di abbandonare la Siria e di tornare in Italia: «Non ce la faccio più, aiutatemi, vi prego...», avrebbe detto in lacrime. Repubblica racconta che gli agenti dell’Antiterrorismo italiano, attraverso lo scambio di informazioni coi servizi segreti turchi, hanno fatto il possibile per non perdere il filo che avrebbe potuto rimettere in connessione Meriem con la sua “vecchia” vita. Con Arzergrande, con Piove di Sacco (dove andava a scuola), i parenti, gli amici. Proprio grazie a questi sforzi i Ros sono riusciti a intercettare il pentimento della ragazza, riportato da Il Gazzettino. Un vero e proprio grido disperato di aiuto: «Mi sono pentita».

 

samra e sabina

[Samra Kesinovic (a sin.) e Sabina Selimovic.
Adolescenti austriache diventate "ragazze copertina" dell'Isis e uccise]

 

L'Isis non perdona. Appresa la notizia, le autorità italiane hanno fatto immediatamente scattare il protocollo internazionale adottato in questi casi per proteggere sia la ragazza che la sua famiglia. La storia dell’Isis, infatti, dimostra che chi decide di abbandonare le fila dello Stato islamico e la sua battaglia paga con la vita. Il timore, dunque, è che il Califfato possa vendicarsi. Lo dimostra la triste storia di Samra Kesinovic e Sabina Selimovic, due adolescenti austriache di appena 16 e 15 anni, che nell’aprile 2014 erano fuggite da Vienna per raggiunge la Siria e diventare due “spose jihadiste” (per potersi legare all’Isis, infatti, le foreign fighters devono sposare un membro del Califfato). La polizia austriaca, nei mesi successivi alla scomparsa delle due giovani, dimostrò come Samra e Sabina fossero diventate le “ragazze immagine” della jihad, volti per sostenere la propaganda e l’arruolamento di nuove reclute occidentali, possibilmente giovani donne. Nonostante dall’Isis filtrassero loro “interviste” dove si dicevano contente in Siria e nel Daesh, le autorità austriache erano certe che le due giovane avessero tentato più volte di mettersi in contatto con le proprie famiglie per chiedere aiuto. Lo scorso novembre, poi, si è diffusa la tragica notizia: Samra e Sabina sarebbero morte. Il quotidiano The Local riportò la testimonianza di una donna tunisina, che avrebbe vissuto per qualche tempo insieme alle due austriache, secondo cui Samra sarebbe stata picchiata fino alla morte dopo aver cercato di fuggire dalla Siria. La stessa fine sarebbe toccata, pochi mesi dopo, a Sabina, morta in battaglia e usata come scudo dai militanti jihadisti durante uno scontro a fuoco. Gli 007 italiani faranno di tutto perché Meriem non sia vittima dello stesso tragico destino.

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