La più grande catastrofe dopo la Seconda Guerra

Il viaggio di Francesco a Lesbo come una pagina del Vangelo

Il viaggio di Francesco a Lesbo come una pagina del Vangelo
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Un giovane è caduto in ginocchio ed è scoppiato a piangere chiedendo di essere benedetto: «Father, bless me», ripeteva. Una bambina si è gettata a terra ed è rimasta ai suoi piedi, mentre la madre con il capo coperto dal velo raccontava la loro storia e ringraziava in arabo, «shukrān». Un anziano gli parlava tra le lacrime dei figli morti durante la traversata. Uscito dalla tenda è stato avvicinato da una donna che si disperava in ginocchio, tenendogli stretta la mano. Francesco procedeva in silenzio, commosso.

Le cronache del viaggio del Papa al campo profughi di Mòria, sull’isola greca di Lesbo, sembrano le pagine del Vangelo. Davanti ai rifugiati – dicono i giornalisti - il Papa pareva scosso, stringeva le mani dei ragazzi, le metteva sul capo di uomini e donne disperati, accarezzava i più piccoli, salutava le madri e consolava i bambini che hanno perso i genitori e sono rimasti soli al mondo. E pregava.

 

 

Accanto a lui, in questo pellegrinaggio “segnato dalla tristezza”, tra le vittime di quella che Francesco ha definito «la più grande catastrofe umanitaria dopo la Seconda Guerra mondiale», c’erano il Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo e l’arcivescovo ortodosso di Atene Ieronymos. Ci sono andati insieme per portare all’attenzione del mondo la tragedia dei migranti e per dire loro di non perdere la speranza.

Poche le parole, perché il gesto conteneva già tutto: «Oggi ho voluto stare con voi – ha esordito Papa Francesco – e voglio dirvi che non siete soli. Sono venuto qui insieme ai miei fratelli Bartolomeo e Ieronymos semplicemente per stare con voi e per ascoltare le vostre storie. Siamo venuti per richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi umanitaria e per implorarne la risoluzione. Come uomini di fede, desideriamo unire le nostre voci per parlare apertamente a nome vostro. Speriamo che il mondo si faccia attento a queste situazioni di bisogno tragico e veramente disperato, e risponda in modo degno della nostra comune umanità».  «Dio ha creato il genere umano - ha detto ancora Francesco - perché formi una sola famiglia; quando qualche nostro fratello o sorella soffre, tutti noi ne siamo toccati. Tutti sappiamo per esperienza quanto è facile per alcune persone ignorare le sofferenze degli altri e persino sfruttarne la vulnerabilità. Ma sappiamo anche che queste crisi possono far emergere il meglio di noi. Lo avete visto in voi stessi e nel popolo greco, che ha generosamente risposto ai vostri bisogni pur in mezzo alle sue stesse difficoltà». «Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi - ha concluso il Papa - non perdete la speranza! Il più grande dono che possiamo offrirci a vicenda è l’amore».

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Papa Francesco incontra i rifugiati durante la visita a Lesbo, 16 aprile 2016. ANSA/ L'OSSERVATORE ROMANO ++HO - NO SALES EDITORIAL USE ONLY++

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Papa Francesco incontra i rifugiati durante la visita a Lesbo, 16 aprile 2016. ANSA/ L'OSSERVATORE ROMANO ++HO - NO SALES EDITORIAL USE ONLY++

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Papa Francesco incontra i rifugiati durante la visita a Lesbo, 16 aprile 2016. ANSA/ L'OSSERVATORE ROMANO ++HO - NO SALES EDITORIAL USE ONLY++

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A womb holds a placard reading "Welcome to Lesbo Pope Francis", at the Moria refugee camp on the Greek island of Lesbos, Saturday April 16, 2016. Pope Francis travelled Saturday to Greece for a brief but provocative visit to meet with refugees at a detention center as the European Union implements a controversial plan to deport them back to Turkey. (ANSA/AP Photo/Petros Giannakouris)

A Lesbo, luogo simbolo del dramma dei profughi dove sono ammassate 2500 persone, Francesco, Bartolomeo e Ieronymos hanno firmato una dichiarazione comune, contenente appello alla comunità internazionale. Nel suo breve saluto Ieronymos ha usato parole severe contro l’Europa che nella crisi dei rifugiati ha dimostrato «la “bancarotta” dell’umanità e della solidarietà». Un tema toccato anche da Bartolomeo: «Abbiamo pianto mentre vedevamo il Mediterraneo diventare una tomba per i vostri cari. Abbiamo pianto vedendo la simpatia e la sensibilità del popolo di Lesbo e delle altre isole. Ma abbiamo pianto anche quando abbiamo visto la durezza dei cuori dei nostri fratelli e sorelle - i vostri fratelli e sorelle – chiudere le frontiere e voltare le spalle». Il mondo, ha concluso Bartolomeo «sarà giudicato dal modo in cui vi ha trattato. E saremo tutti responsabili per il modo in cui rispondiamo alla crisi e al conflitto nelle vostre regioni di origine». I tre capi religiosi sono andati a visitare anche un cimitero sul mare dove è sepolta tanta gente annegata.

Mentre il Papa stringeva la mano ai rifugiati si è diffusa la voce che sull’aereo del ritorno avrebbe portato con sé a Roma tre famiglie siriane, scelte in modo casuale nel campo all’aperto di Kara Tepe, in totale dodici profughi di cui sei minori, tutti di religione musulmana, che saranno ospitati dalla Comunità di Sant’Egidio. La conferma è arrivata poco dopo da padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa della Santa Sede. Due famiglie vengono da Damasco, una da Deir Azzor, nella zona occupata dall’Isis. Le loro case sono state bombardate. L’accoglienza e il mantenimento delle tre famiglie saranno a carico del Vaticano. Nel viaggio di ritorno il Papa è tornato a parlare coi giornalisti: «Prima di tutto voglio ringraziarvi per questa giornata di lavoro, per me è stato troppo forte, troppo forte, c’era da piangere», ha detto.

 

Leggi l’intervista di Andrea Tornielli su Vatican Insider cliccando QUI.

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