Performance con le detenute

Un'inedita danza liberatoria nella rotonda di San Vittore

Un'inedita danza liberatoria nella rotonda di San Vittore
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Mercoledì a San Vittore è successo qualcosa di assolutamente inedito. L’arte è entrata in carcere nella sua forma più libera e incontrollabile: la performance. Nella celebre rotonda da cui si dipartono i raggi, un artista, Andrea Bianconi, ha coinvolto 10 detenute, che abitualmente fanno lavoro teatrale con il Cetec, in un progetto performativo davanti ad un pubblico per metà di detenuti e per metà di persone venute dall’esterno. Questi i loro nomi: Vittore Elena, Elisa, Kristall, Marta, Martina, Sonia, Solange, Success, Dorina, Laura. Il segno distintivo di quella forma artistica che è la performance è questo: l’artista è presente. L’artista entra in gioco non semplicemente con le sue opere ma con il suo corpo per ritrovare un’intensità di rapporto con il mondo che lo circonda, che l’opera in sé sembra non riuscire più a garantire. La performance insomma è quella forma semplice ed estrema attraverso la quale l’artista dice al mondo: «Io ci sono».

 

 

Bianconi c’era, con le dieci compagne di avventura, tutte vestite di nero, e tutte chiamate a una sorta di rito liberatorio, uscendo da uno spazio in cui l’artista aveva disposto una decina di gabbie dalle forme più fantasiose. Le dieci ragazze hanno iniziato a muoversi attorno al podio centrale dove la domenica viene celebrata la messa, mescolandosi tra il pubblico, cantando una filastrocca con voci dissonanti e poco alla volta hanno trovato il modo di stare all’unisono. A quel punto anche tutti gli altri detenuti che stavano assistendo si sono uniti al coro, alzando il livello della performance su un piano ancora più partecipato e non previsto. Al cuore della filastrocca stava un’immagine contraria a quella della gabbia: la freccia. La stessa freccia che è il motivo dominante dei cinquanta disegni che Bianconi ha disposto nel corridoio d’ingresso alla rotonda. La performance per Andrea Bianconi è innanzitutto un’esperienza di libertà, perché è uno spazio di azione che non obbedisce a una logica e tanto meno ad una regola. Un spazio in cui l’artista non è chiamato alla resa dei conti con un “perché”. La libertà poi è garantita dal fatto che la performance è una volta per sempre; una volta accaduta si smaterializza e vive solo nella documentazione di ciò che è accaduto.

 

Quella di mercoledì è stata anche un’ulteriore documentazione dei percorsi straordinari che si stanno facendo all’interno di una delle più grandi e mediaticamente celebri carceri italiane. A dispetto di una struttura vecchia, che presenta tantissimi e gravi limiti per chi vi si trova rinchiuso, a San Vittore si è instaurato un clima sorprendente, che aiuta la costruzione di esperienze costruttive e creative. Merito del lavoro impostato dal direttore Giacinto Siciliano e dalla sua squadra e da realtà come Il Cetec l’associazione che grazie all’impegno di Donatella Massimilla e Gilberta Crispino lavora con le detenute in percorsi teatrali, a volte con spettacoli portati fuori dal carcere. Mercoledì è stata proprio Gilberta Crispino a dare il via alla performance leggendo una straordinaria pagina di Giovanni Testori, un intellettuale che aveva sempre avuto una grande attenzione e sensibilità per San Vittore.

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