Prima settimana del Sinodo

Se Papa Francesco è "really cool"

Se Papa Francesco è "really cool"
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Stavolta sembra proprio che ce la facciamo (prima persona plurale, usata quando la squadra del cuore ha vinto). Al briefing che - alle 13 di sabato 11 - ha concluso la prima settimana di lavori del Sinodo Straordinario sulla famiglia parevano davvero tutti molto contenti di quel che sta succedendo.

Vada per quella fonte di energia rinnovabile che è l’arcivescovo di Dublino monsignor Diarmuid Martin che - forse per l’assonanza al nome di un celebre giocatore di rugby o più banalmente per la stazza da pilone - sembra oggi più giovane di quando partecipò al sinodo dell’80 senza essere nemmeno monsignore. Ma che la dottoressa Valérie Duval-Pujol, docente di esegesi biblica a Parigi e rappresentante dei Battisti di tutto il mondo, abbia voluto raccontare di aver colto sulle labbra di un ragazzo il riverbero del fatto educativo più interessante di questi tempi - il fatto cioè che il papa venga riconosciuto come really cool, “uno che si vorrebbe essere come lui” - questo è davvero un evento sorprendente. Quasi come il fatto che lei, francese autorizzata a parlare francese, non abbia avuto alcuna remora di usare la lingua dei nemici della Pulzella d’Orléans.

Ma procediamo con ordine.

Prima di dare spazio alle domande padre Lombardi ha chiesto a monsignor Martin di dire due parole sulla sua condizione di testimone di tanti anni di lavoro della Chiesa. E così, dopo aver sintetizzato in un lampo il percorso di tre papi e un cardinale (Ratzinger), il vescovo Martin ha raccontato, in tutta semplicità, come molte famiglie della sua diocesi, che fanno una vera esperienza di fede, che vivono profondamente la propria condizione di appartenenza al cattolicesimo, non sarebbero tuttavia in grado di esprimere quello che stanno vivendo nel linguaggio “teologico” in cui si esprime di norma il magistero. Da qui la necessità - per il magistero, non per le famiglie - di un profondo rinnovamento nel linguaggio, che per un verso lo metta in grado di ascoltare persone alle prese con insormontabili difficoltà espressive e di riconoscere il valore della loro testimonianza, e per l’altro verso consenta al magistero stesso di proclamare in modo semplice e riconoscibile quella proposta di felicità che l’attuale linguaggio rischia di rendere irricevibile.

Se questa indicazione venisse raccolta ci troveremmo davvero a una svolta di eccezionale portata, che consentirebbe di far esplodere energie positive fino ad oggi tenute come uccelli canterini sotto il panno nero, ossia rimaste silenziose non perché non avessero nulla da dire, ma perché intimorite dall’idea di non saper parlare, spiaccicar parola come Renzo davanti all’Azzeccagarbugli.

Il fatto che tutti gli intervenuti nei briefing dal primo giorno fino ad oggi si siano detti stupiti dalla libertà con cui ciascuno può dire la sua, senza timore, di fronte a tutti, rafforza la speranza che il cambio di registro non sia solo un augurio. Forse è già cominciato.

Non ha detto solo questo monsignor Martin, ma non si può riferire tutto. Questo ci pareva però il dato più rilevante assieme (d’accordo, lo aggiungiamo) a un passaggio sulla difficoltà che i giovani provano nel cogliere la portata di un impegno che duri una vita intera senza per altro avere un contenuto specifico. Ci si può impegnare nella salvaguardia dell’ambiente, nella difesa di una lingua o di una cultura, ma impegnarsi puramente e semplicemente a vivere con un’altra persona, questo non è così semplice da capire. Nemmeno per noi Battisti - aggiungerà in seguito Duval-Pujol - perché per noi il matrimonio non è un sacramento e quindi non è affar nostro se due si lasciano e si risposano. Consideriamo un valore la fedeltà per sempre, ma la sua rottura non costituisce problema teologico.

In precedenza, intervenendo dopo l’arcivescovo di Dublino, la stessa Duval-Pujol aveva voluto manifestare la propria sorpresa per come il metodo stesso della discussione in aula, e la scansione dei lavori da qui a un anno, abbiano favorito l’emergere non di una o di un’altra tesi particolare, ma di quello che tradizionalmente si chiama sensus fidelium, ossia il sentimento diffuso, il pulsare del cuore della comunità rispetto ai diversi argomenti. Ed è stata sempre lei a sottolineare come sia questa la prima volta in cui i fedeli di altre chiese non vengano chiamati “osservatori” ma “delegati fraterni”, liberi di intervenire nel dibattito al pari degli altri.

Mentre era stato padre Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, a leggere all’inizio un tenerissimo pezzo della relazione di sua Eminenza Athenagoras, Metropolita del Belgio, in cui si raccomanda a tutti di non essere troppo moralisti e men che meno rigidi nei confronti della famiglia.

Ed è stato certamente questo clima, questo stile di lavoro che ha generato l’osservazione della Duval-Pujol sul valore educativo universale della persona di papa Francesco: educare alla fede significa vivere in modo da essere naturalmente attrattivi, luminosi della luce che ha attratto noi per primi. Tutto qui.

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